Affidato alle cure di Giuseppe Gembillo, Gaspare Polizzi e Romano Romani, l’Università degli Studi di Messina ha promosso un convegno internazionale di studi dedicato, al compiersi del centenario dalla nascita, alla figura ed all’opera di Imre Toth (1921-2010), uno dei maggiori filosofi e storici della matematica.
Nel 1997 Toth porta a compimento Non! Libertè & Verité. Creation & Negation. Un’opera che si affacciò in lui nel 1976 ed alla quale attese per oltre vent’anni. Egli costruisce Non!, ci dice, come un palinsesto. Nella prefazione alla edizione italiana (No! Libertà e verità. Creazione e negazione. Palinsesto di parole e immagini, pubblicato nel 2003 da Bompiani) Giovanni Reale scrive: «Il palinsesto, come è noto, è un’antica pergamena in cui mediante raschiatura il testo primitivo è stato cancellato al fine di poterla riutilizzare per scriverne uno nuovo. Tecniche sofisticate permettono, però, di recuperare le scritture antiche rimaste, a loro modo, impresse sul supporto. Il palinsesto, pertanto, è una sovrapposizione di testi, quindi di messaggi, ossia racchiude in sé differenti voci che parlano ad un tempo e nel medesimo luogo».
A questa stregua, la forma propria del palinsesto che Toth, mosso da una forte motivazione teoretica, persegue come una modalità del pensare, solleva più di una questione. Una, e preliminare, che può esser detta così: il testo che fu vergato a suo tempo al presente permane, ma nascosto. O si dica: come allora il passato si nasconde nel presente. O come la fibra che innerva il presente è un nascondimento di passato. E la modalità del palinsesto, per tanto, pone altresì la questione di un ri-tornare, di un ri-comparire, di un re-istituire. La questione, cioè, di come si possa mettere capo ad una acquisizione di quel determinato senso precedente che giace, nel presente, come passato non visibile. Di come, ancora, sia possibile conferire al passato una visibilità nel presente.
Toth ripristina, reintegra, ristabilisce i testi depositati strato per strato secondo la regola del palinsesto. Procede a far emergere, a riportare alla luce quanto precede e lo accosta a quanto consegue determinando un ordine di tempo che accomuna passato e presente in un libero giuoco di reciproche interferenze, un campo aperto di correlazioni nuove.
Oltre al palinsesto e di concerto, Toth ha fatto ricorso anche al collage come ad un congeniale criterio che avvertiva adatto alla sua ricerca. No!, avverte l’autore, non è una antologia di brani trascelti dagli scritti di svariati autori «o una collezione di citazioni, è un collage testuale, composto secondo il programma surrealista del trattamento dei testi, eseguito mettendo in opera le tecniche che gli sono proprie» e, aggiunge, «alcuni frammenti sono accompagnati da collages su carta».
Quanto il palinsesto reca alla superficie, parola o immagine, il collage, secondo la prassi surrealista, dispone entro una medesima cornice. Accosta, elide distanze, dà accesso affidandosi alle forme della combinazione per somiglianza o del contatto per opposizione. Si attiene al criterio spontaneo della giustapposizione e della connessione gratuita o d’invenzione. Intende così dar corso a spazi interiori impreveduti, conquistati dal fortuito, dall’automatico, dal fantasticato.
Collage, collegare assicurare per legami impropri elementi estranei. Ormeggiare a moli collocati in rade non segnate nei portolani parole e immagini disancorate, or ora giunte, sulla via di rotte dimenticate, da provenienze diverse e lontananze pregresse. Immagini e parole nel raduno di una medesima latitudine capace di recare il provvisorio costrutto di un loro nuovo senso o di un visibile loro non senso. Toth ha definito i suoi collages «palinsesti onirici». Superare allora ogni scarto tra onirico e reale, tra attestazione pregressa e l’immagine e la parola emancipate in un loro nuovo, libero fluttuare.
Nella sua firma, resa come la cifra d’un monogramma, Imre Toth congiungeva le lettere del suo nome delineate come a descrivere il profilo del suo volto e le scioglieva nelle lettere dell’alfabeto greco vergate da Pindaro nell’ottava Pitica: skias onar: «sogno d’un’ombra» è l’uomo.