Clima e risorse La crescita sotto processo

 

 

In tempi non facili Chicco Testa contraddice il pessimismo diffuso e in libro — Elogio della crescita felice (Marsilio) — propone un approccio alla questione ambientale basato sulla fiducia nelle tecnologia. Abbiamo messo a confronto l’autore con Mario Tozzi, geologo del Cnr e membro del consiglio scientifico del Wwf, che vede i problemi in maniera assai diversa. A cominciare dalle accuse di catastrofismo mosse da Testa a Greta Thunberg e a Papa Francesco.

MARIO TOZZI — Anch’io critico il catastrofismo, che non aiuta a ragionare. Però considero positivo vedere un Pontefice che, a 400 anni dal processo a Galileo, dà ragione alla scienza e afferma che il clima è un bene comune da tutelare. Ciò non è scontato, perché si sente ancora dire sulla stampa o in tv (c’è un accenno anche nel libro di Testa) che gli scienziati sul riscaldamento globale hanno pareri difformi tra loro. Invece no. C’è un vastissimo consenso degli studiosi sul fatto che è in atto un cambiamento climatico accelerato, anomalo rispetto al passato e dipendente dall’uomo. La verifica si può fare esaminando le riviste scientifiche, quelle che pubblicano un articolo solo dopo averlo fatto revisionare da un comitato di studiosi che valutano dati e metodologia. Tempo fa è stata fatta una verifica: su 10.885 interventi usciti su quelle riviste, solo due rifiutavano la tesi del cambiamento climatico prodotto dalle emissioni di gas serra. Il Papa ci chiede di ascoltare le voci degli esperti, così come fa Greta. Poi i toni possono piacere o no. Ma bisogna smetterla di dire che la scienza è divisa, perché non è vero.

CHICCO TESTA — Concordo sull’esistenza del riscaldamento globale e sulla responsabilità dell’uomo, ma metto in guardia dall’intolleranza verso chi avanza dubbi, anche perché la ricerca si fonda sul dubbio e la climatologia non è una scienza esatta, le sue previsioni dipendono da un’infinità di variabili. E fra i «negazionisti del clima» additati al pubblico ludibrio ci sono anche premi Nobel e due italiani, Franco Prodi e Antonino Zichichi. Il Papa in realtà critica il metodo scientifico sperimentale come «tecnica di possesso, di dominio» e sostiene una cosmologia per cui la Terra è una specie di essere animato, un dono di Dio. In realtà questo pianeta è ospitale per noi solo da qualche milione di anni, mentre per gran parte della sua esistenza non lo è stato. Quanto a Greta, il suo allarmismo dimentica le conquiste degli ultimi decenni: la crescita dell’istruzione, il calo della povertà, l’innovazione tecnologica. Progressi da cui possono venire soluzioni valide. Invece il semplice grido di disperazione non aiuta, alla fine diventa un rumore di fondo che lascia indifferenti.

MARIO TOZZI — Zichichi però è un fisico delle particelle, non uno scienziato del clima. Lo stesso si può dire per diversi premi Nobel. Se ho problemi di cuore vado dal cardiologo, non dall’oculista. Detto questo, non credo che la tecnologia sia la nostra salvezza, come sostiene Testa. Occorre un salto culturale per fare i conti con il fatto che le risorse della Terra sono limitate. Il nostro attuale modello di sviluppo ignora il problema, procede come se non ci fossero limiti. Per esempio, se tutti i cinesi volessero mangiare la stessa quantità di pesce dei giapponesi, ci vorrebbero 90-100 milioni di tonnellate di pescato ogni anno. Ma la Terra ne fornisce 110-120 e ci sono altri sei miliardi di individui, oltre i cinesi, da sfamare. Perciò il sistema vigente può reggersi solo sulla base di stridenti disparità tra i popoli. E la tecnologia non basta a colmare il gap, perché anche se raddoppiassimo i pescherecci non otterremmo più cibo. Nei Grandi Banchi di Terranova puoi mandare tutte le navi che vuoi, non si trovano più merluzzi dal 1992. Lo stesso vale in altri campi: se tutti gli indiani e gli africani avessero l’auto privata, come noi europei, l’inquinamento sarebbe intollerabile. Non è possibile che tutta l’umanità raggiunga il tenore di vita dell’Occidente.

CHICCO TESTA — Da quarant’anni sento dire che il pesce si va esaurendo, ma un tempo era raro, mentre non ne ho mai visto mangiare tanto come adesso, forse perché si può allevarlo. Poi sono d’accordo sulla necessità di cambiare strada, ma non arrestando la crescita. La chiave è il disaccoppiamento tra espansione del benessere e aumento del consumo di risorse: la capacità di produrre di più impiegando di meno, che è al centro di una rivoluzione tecnologica già in corso. La motorizzazione privata oggi inquina, ma presto avremo l’auto elettrica, magari a guida autonoma, che potremo usare con il car sharing chiamandola con il telefonino. La produttività dei terreni aumenterà, anche grazie agli organismi geneticamente modificati, permettendoci di usare meno acqua e concimi, anzi di ridurre le stesse superfici coltivate, come in Europa già avviene. Nuovi materiali leggerissimi e resistentissimi ci faranno risparmiare enormi quantità di energia. Anche un rilancio del nucleare può essere utile. Altre soluzioni non ne vedo, perché solo un balzo tecnologico può soddisfare le esigenze dei Paesi emergenti.

MARIO TOZZI — È vero che sulle tavole dei Paesi ricchi vediamo più pesce: il problema è che diminuisce nei mari e questo mette a rischio i cicli di riproduzione della fauna acquatica, nonostante il contributo degli allevamenti. Testa mi sembra molto idealista, spera nell’effetto salvifico della tecnologia. Ma non è proprio materialmente possibile un mondo in cui tutti i Paesi raggiungano il livello di consumo degli Stati Uniti.

CHICCO TESTA — Infatti ci vuole un cambiamento. Ma la produttività dei terreni si è decuplicata con la rivoluzione verde. Perché escludere che possa ancora crescere in modo da diminuire le superfici coltivate?

MARIO TOZZI — Fare di più con meno risorse è un ottimo principio. Ma non dimentichiamo che l’uso dei fertilizzanti chimici produce anche danni. Il nucleare non emette gas serra, però si basa sempre sull’uso di un minerale, l’uranio, destinato a esaurirsi. Gli incidenti nelle centrali atomiche sono rari, ma hanno conseguenze enormi. Inoltre il costo degli impianti è molto elevato, senza contare il problema delle scorie: un Paese come l’Italia, uscito dal nucleare molti anni fa, non ha alcuna convenienza a rientrarci. Bisogna invece puntare sulle energie rinnovabili, come quella solare e quella eolica, che già oggi forniscono circa il 35 per cento del fabbisogno di elettricità.

CHICCO TESTA — Una quota che però comprende anche il contributo degli impianti idroelettrici.

MARIO TOZZI — D’accordo. Ma di certo un sistema economico così vorace di energia non può espandersi all’infinito. E poi c’è la congestione degli spazi: anche quando avremo l’auto elettrica, dovremo puntare sempre più su mezzi di trasporto collettivi e condivisi, non privati, se vogliamo evitare di vivere in un ingorgo permanente. Insomma, serve una complessiva riconversione ecologica dell’industria, che solo pochi hanno avviato. In genere le imprese, soprattutto in Italia, mostrano poco coraggio, restano ancorate all’obiettivo di massimizzare il profitto a spese delle risorse naturali, una logica alla lunga insostenibile.

CHICCO TESTA — Non è detto che i consumi energetici debbano continuare a crescere. Il loro aumento nei Paesi sviluppati sta rallentando da tempo grazie ai risparmi consentiti dal progresso tecnologico. In America si progetta il rilancio del nucleare contro l’effetto serra, con reattori più piccoli e sicuri, oltretutto meno costosi. In Italia mancano le condizioni per un ritorno all’atomo, ma non è vero che le imprese sono pavide: abbiamo molte eccellenze in campo ambientale e anche la finanza dà sempre maggiore peso a questo aspetto nelle scelte d’investimento. Insomma, l’Occidente mi pare sulla buona strada. Il problema sono la Cina, l’India, l’Africa, che hanno ancora un forte bisogno di crescere economicamente e sono diventate le maggiori responsabili delle emissioni di gas serra.

MARIO TOZZI — La Cina inquina più di noi, ma i suoi abitanti pro capite molto meno, visto che è un Paese assai più popoloso.

CHICCO TESTA — Un singolo cinese inquina meno di un nordamericano, ma rispetto a un europeo siamo quasi alla pari. Gli indiani sono molto indietro. Comunque, o noi attuiamo un gigantesco trasferimento di tecnologia a favore di quei Paesi, o non ci sarà niente da fare contro il mutamento climatico. Non a caso prima della pandemia si continuava a registrare un aumento delle emissioni.

MARIO TOZZI — Il Covid-19 è stato finora un’occasione perduta e un monito inascoltato. Le ultime nove pandemie, compreso l’Aids, sono zoonosi, cioè derivano da animali, ma non da quelli domestici, come accadeva un tempo, bensì da bestie selvatiche. E il salto di specie dei virus da loro all’uomo avviene per colpa nostra. I pipistrelli hanno una carica virale enorme, ma riescono a conviverci grazie a caratteristiche biologiche straordinarie. Quando invadiamo le foreste che sono l’habitat dei pipistrelli, si crea una vicinanza pericolosa, che attraverso altri animali può causare il salto di specie verso l’uomo. L’Hiv, virus dell’Aids, ha ucciso 34 milioni di persone, ma non si diffonde facilmente e siamo riusciti a cronicizzare la malattia con i farmaci. Il contagio dei virus respiratori è molto più facile e ora ne vediamo le conseguenze. Ma tutto dipende da scellerate attività umane di distruzione ambientale. Questo è il monito che finora non mi pare abbiamo compreso. Ma la pandemia poteva anche essere l’occasione per avviare una svolta ecologica e invece abbiamo reagito con la paura, chiudendoci in noi stessi. Pensiamo alla produzione massiccia di mascherine di plastica non riciclabili, che aggravano il già pesante problema dei rifiuti.

CHICCO TESTA — La pandemia c’insegna che siamo soggetti alle forze della natura, la quale non è affatto benigna verso l’uomo, come dimostrano del resto eruzioni e terremoti. Tutta l’avventura della nostra specie è una lotta per liberarsi dai condizionamenti naturali come le malattie. Oggi che siamo oltre sette miliardi e mezzo, è più facile che il contagio si diffonda, ma pandemie gravi sono avvenute anche quando non c’erano problemi di deforestazione o inquinamento. Pericle morì di peste ad Atene nel V secolo avanti Cristo. La peste nera dal Trecento dimezzò la popolazione europea. La Spagnola uccise un secolo fa il 5 per cento degli abitanti della Terra, equivalenti oggi a quasi 400 milioni di individui. Trovo già miracoloso che con i mezzi odierni siamo riusciti ampiamente a limitare i danni. Ma è un’ulteriore dimostrazione che l’unica salvezza è la ricerca scientifica, grazie alla quale forse arriveremo ad avere un vaccino in tempi non troppo lunghi. Allo stesso modo terremoti e inondazioni facevano poche vittime quando la Terra era meno densamente popolata di oggi. Però la nostra intelligenza ci ha dato i mezzi per limitare anche i danni di un terremoto, come è accaduto in Giappone e come purtroppo non avviene in Italia, dove siamo molto indietro nelle misure antisismiche.

MARIO TOZZI — C’è differenza tra le epidemie passate e quelle attuali. Un tempo le varie forme di contagio, nel caso di zoonosi, erano trasmesse da animali domestici, mentre ora provengono da specie selvatiche, nel cui territorio ci siamo intromessi con effetti distruttivi. Il fatto è che non pensiamo agli effetti a lungo termine delle nostre azioni. Un esempio è l’uso della plastica, problema tornato di attualità per l’esigenza di smaltire le mascherine. Stiamo parlando di un materiale sintetico, sofisticato e versatile, che ci aiuta molto in tante situazioni, ma è purtroppo difficilissimo da riciclare in maniera corretta. A parte alcune eccezioni (in primo luogo nel campo della sanità), è un controsenso il monouso degli oggetti di plastica che buttiamo via subito dopo averli adoperati, perché poi ce li ritroviamo sparsi ovunque, con pesanti danni all’ambiente. Io non sono certamente per l’abolizione della plastica, ma ritengo si debba fare di tutto per limitarne l’uso, sostituendola dove possibile con il vetro, e riservarla solo agli impieghi per cui è indispensabile. Il tempo dell’usa e getta è finito.

CHICCO TESTA — Mi guardavo in giro mentre Tozzi parlava. Ho visto una porta con maniglia di plastica, una lampada in plastica, idem il computer, il telefonino, l’attaccapanni. L’usa e getta è una parte estremamente minoritaria della plastica che ci circonda. Mi va bene che l’Unione Europa vieti piatti, posate, bicchieri e altri oggetto monouso. Ma hanno calcolato che è meno dell’1 per cento della plastica in circolazione. Invocare un mondo plastic free è quindi del tutto fuorviante. La verità è che la plastica ha permesso di risparmiare quantità enormi di materiali naturali: pensiamo agli occhiali e ai pettini di tartaruga o agli oggetti in avorio. Allo stesso modo il tanto vituperato petrolio ha sostituito il grasso di balena da cui si ricavava il combustibile per l’illuminazione. Aggiungo che la riciclabilità delle plastiche sta aumentando, ci sono progetti per riutilizzarne anche le varietà meno nobili. Quindi sono d’accordo nel limitare l’usa e getta, ma la crociata contro la plastica è un errore.

MARIO TOZZI — Però il problema dei rifiuti resta aperto e non si può risolvere con risposte vecchie come le discariche, che abbiamo privilegiato in Italia, e gli inceneritori, su cui hanno puntato altri Paesi europei. Non credo che sia una scelta ottimale bruciare i rifiuti, perché se ne ricava sempre un’energia inferiore a quella impiegata per produrre i materiali destinati all’incenerimento. Inoltre gli impianti appositi sono di taglia consistente, quindi il loro utilizzo entra in conflitto con il riciclaggio, che tende a lasciarli senza combustibile. Per me la strada è un’altra. Bisogna il più possibile riutilizzare, riciclare, riparare e soprattutto produrre meno rifiuti. Gli imballaggi vanno fatti di un unico materiale e deve essere possibile liberarsene nello stesso luogo in cui si acquista la merce. Una volta ridotto drasticamente il volume dei materiali di scarto, il problema si semplifica. Tenere in funzione gli inceneritori che esistono già mi va bene, ma non ne costruirei di nuovi. Sono impianti industriali e producono sostanze inquinanti, diossine e particelle ultrasottili.

CHICCO TESTA — Anche nel riciclaggio s’impiega energia e il risultato che si ottiene non è mai pari al materiale di partenza. In fatto di rifiuti io condivido gli obiettivi dell’Unione Europea: 60 per cento di riciclaggio, non più del 10 per cento in discarica, il resto recupero energetico attraverso gli inceneritori. Il Nord Italia da questo punto di vista è efficiente. In Lombardia solo il 4 per cento dei rifiuti va in discarica. Il guaio è il Centro Sud. Roma non ha inceneritori, ma in compenso ogni giorno 170 grossi camion partono dalla capitale per trasportare i rifiuti della capitale negli impianti del Settentrione o all’estero. E in Sicilia l’80 per cento dei rifiuti va ancora in discarica. Non propongo il termocombustore come toccasana, ma credo che in certe zone ne dovremmo costruire ancora qualcuno.

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