“Ci hanno usati, ora lasciate in pace la mia città”.

 

Intervista Carancini
È stata una prova difficile La manifestazione ha parlato un po’ a se stessa, non bastano i riti e le messe
Dal nostro inviato , MACERATA Sindaco Romano Carancini, su Macerata cala il sipario.
Contento? «E’ stata una prova difficile. Prima nella gestione dell’emergenza, poi per l’assalto dei media e della politica che hanno spadroneggiato. Ora, come ha detto il vescovo, è il tempo dei cocci, della riflessione su quello che è successo”.
È successo che lei la manifestazione di sabato non la voleva, e non ha partecipato.
Ma è stata tranquilla: non era giusto esserci? «Guardi, io non potevo e non posso vietare alcuna manifestazione. Chi ha saputo leggere bene la vicenda, e non era complicato, ha visto altro. Ho chiesto che fosse una settimana di silenzio. Era un ragionamento così folle? Non parlavo alla politica ma all’anima della città. La questione della sicurezza esulava da ogni mia valutazione. Ho creduto di interpretare i sentimenti dei maceratesi, credo avrebbero preferito restare in silenzio e riflettere. Quello che è successo è grave, e ha tanti risvolti: penso ai messaggi sconcertanti usciti sui social. Il grido di esasperazione di Matteo Zallocco, il direttore di Cronache Maceratesi che ieri ha firmato un editoriale titolandolo “lasciate in pace Macerata”, è la traslazione della mia preoccupazione di una settimana fa».. Vi sentite usati politicamente? «Sicuramente sì, siamo stati usati.
È parso chiaro a tutti noi maceratesi. Forse non abbiamo capito bene, non siamo abituati a tanta pressione. Nemmeno quando tiriamo fuori il vestito bello per la prima dell’Opera festival allo Sferistereo abbiamo tanti occhi addosso, nazionali e internazionali. Il grido “Lasciate in pace Macerata” esprime quello che provavo a spiegare io: la necessità di attendere i nostri tempi e di fare i nostri passi.
Dobbiamo rielaborare il dolore».
Ma che città è una città che accoglie antifascisti e antirazzisti con le finestre chiuse e le porte sbarrate? «È stato un paesaggio surreale.
Una città così non l’avevo mai vista. Quelle finestre chiuse erano la prova fisica di essere ancora sul palcoscenico, in questo teatro creato dai fatti di cronaca, dalla politica e dai media. Ma questa non è Macerata. In queste condizioni la nostra città non è sé stessa». E adesso, sindaco, come si ricuce il rapporto con chi è venuto a ricordare i valori della Costituzione? «Non voglio esprimere perplessità o dubbi, preferisco guardare avanti: mi porto nello zaino una bella manifestazione per presenze e contenuti. Penso però che abbia parlato un po’ a se stessa, e un po’… lontano. Ci sta, è legittimo se parli di antifascismo e antirazzismo. Ma non bastano più i riti e le messe: c’è stato uno scatto in avanti, dobbiamo capire come mai pezzi di società civile, direttamente o larvatamente, siano portati a giustificare ambiguamente alcuni fatti. È grave, parlo di persone che sono certo non siano razziste. La manifestazione è riuscita a parlare a questo pezzo di comunità? Credo di no».
Bene, però domenica prossima ne avete organizzata un’altra: cosa dice ai ventimila in piazza sabato, alla stampa e alla politica? Lasciate in pace Macerata? O tornate in piazza con noi? «Domenica molti attori della città prenderanno ago e filo e cercheranno di ricucire il nostro profilo. Senza orario e senza bandiera, come il disco dei New Trolls di quando ero bambino.
Con la forza di riprenderci di quel monumento ai caduti violato da Traini. Mi piacerebbe fosse una giornata di silenzio e riorganizzazione, senza pensare a chi è più antifascista dell’altro.
Non ci interessa l’appoggio del Pd, ma quello di chi trova insopportabile chi uccide e strazia una ragazza, e chi spara a sei persone. La vita è vita».
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