Quella contro il coronavirus è una dura lotta. Una malattia nuova, per cui non esistono né un vaccino né farmaci specifici. Ma alcuni ospedali italiani sembrano aver trovato una valida cura al virus: il plasma dei sopravvissuti. Esso viene estratto dal paziente convalescente in sacche da almeno mezzo litro e viene poi inattivato nei laboratori medici per “pulirlo” da agenti patogeni. Diventa così possibile trasfonderlo al malato.
Gli ospedali di Mantova e di Pavia sono i pionieri della plasmaterapia. Le squadre guidate dai professori Giuseppe De Donno (Mantova) e Cesare Perotti (Pavia) hanno collaborato in una prima sperimentazione su 48 malati, guarendoli tutti. Il professor De Donno viene contattato anche da istituti stranieri. Ma in Italia molti colleghi lo guardano con sospetto. E cominciano gli attacchi. Qualcuno lo accusa di essere un incompetente e c’è anche chi definisce pericolose le sue cure. Il culmine si raggiunge alla trasmissione di Porta a Porta del 5 maggio, dove lo pneumologo di Mantova è invitato in collegamento video. E dopo una pausa pubblicitaria, scompare senza essere nemmeno salutato.
Ma una terapia che si era mostrata così efficace non può passare inosservata alla comunità scientifica. Superato lo scetticismo iniziale, il 7 maggio l’Istituto superiore di sanità (Iss) e l’Agenzia del Farmaco (Aifa) lanciano uno studio nazionale per valutare l’efficacia del trattamento. A sorpresa, però, come modello per la sperimentazione nazionale è scelto lo studio Tsunami guidato dall’ospedale di Pisa e coordinato dal professor Francesco Menichetti. Il quale ammette che fino a quel punto nel nosocomio toscano solo un paziente era stato trattato nell’ambito del protocollo di plasmaterapia (e altri quattro fuori protocollo).
La beffa però arriva il 15 maggio, quando il comitato etico dello Spallanzani autorizza lo studio e pubblica i nomi del comitato scientifico. Assente illustre: Giuseppe De Donno. Che va su tutte le furie e lancia accuse di politicizzazione, tanto da ricevere minacce di querela dal presidente della Toscana Enrico Rossi (Pd). Solo tre giorni dopo, insieme al collega del Poma di Mantova Massimo Franchini, entrerà nel comitato scientifico.
Ma facciamo un passo indietro. Il momento chiave di tutta la vicenda è il 14 maggio, quando il professor De Donno, con altri esperti, partecipa a un’audizione in Senato. Il primo a parlare deve essere il dottor Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria. Però, a sorpresa, questi cede la parola a un ospite inatteso, che non era nella scaletta: Paolo Marcucci. È il fratello del capogruppo Pd al Senato Andrea Marcucci, ma soprattutto è amministratore delegato della compagnia farmaceutica toscana Kedrion. Che evidentemente, per parlare in Senato non invitata, ha svolto un’efficace attività di lobbying.
Il gruppo Kedrion, che nel 2018 ha fatturato 725 milioni di euro, lavora con i plasmaderivati e nelle settimane precedenti ha seguito le sperimentazioni degli ospedali, fornendo ai centri trasfusionali di Mantova, Padova e Pisa i dispositivi per trattare il plasma prelevato da soggetti convalescenti. Il tutto gratuitamente e senza gara, data la situazione di emergenza. Marcucci tiene a sottolineare che l’azienda “accompagna tutte le sperimentazioni in corso sul plasma iperimmune”.
A dire il vero, già ad aprile Kedrion aveva drizzato le orecchie. In un comunicato pubblicato sul sito ufficiale, si legge che gli sforzi della società
“si stanno concentrando sull’utilizzo di ‘plasma da convalescente’ (…) e sull’utilizzo delle immunoglobuline estratte dal plasma di persone guarite ed immuni al virus, prodotte a livello industriale”.
Perché questa attenzione? La ragione, si legge, è che “in attesa dell’avvio della produzione industriale sono molto positivi i risultati registrati dalla somministrazione di plasma iperimmune da convalescente a pazienti con COVID-19 in condizioni critiche effettuato da alcuni centri in Lombardia”. E qui la casa farmaceutica sente aria di business: “Per aumentare la disponibilità di plasma da convalescente (…) Kedrion Biopharma metterà a disposizione del Servizio Trasfusionale Italiano le proprie tecnologie per realizzare l’inattivazione virale e i test aggiuntivi richiesti, incluso il titolo degli anticorpi totali e neutralizzanti specifici”.
Dopo la prima fase di supporto agli ospedali, infatti, Kedrion prevede il passaggio da un “plasma trasfusionale inattivato” a un “plasma industriale inattivato”. E come? Kedrion “intende mettere a disposizione il proprio stabilimento di Napoli, Sant’Antimo, dove già produce plasma industriale in conto lavorazione per le regioni italiane, per inattivare il plasma (…) e restituire così un plasma standardizzato dal processo industriale per contenuto di proteine e titolo di anticorpi”. Marcucci sostiene che industrializzando il processo si può garantire la conservazione del plasma fino a quattro anni. E che l’azienda sta lavorando per farsi “conferire” il plasma raccolto in Italia. Ma, ci chiediamo noi, non si può svolgere un processo analogo in laboratori pubblici? C’è bisogno di rivolgersi a una compagnia privata?
Marcucci spiega però che l’inattivazione virale nei singoli centri è “artigianale”, “costosa” e “adatta alla fase sperimentale”. Tuttavia, quanto sostenuto dal manager toscano è proprio il contrario di ciò che dirà poco più tardi in audizione Giuseppe De Donno e di ciò che dicono i dati: in Italia il costo di una sacca di plasma è intorno agli 80 euro.
Il professor Alessandro Santin dell’università di Yale (Stati Uniti) dichiara in un servizio delle Iene che lavorare privatamente il plasma costerebbe migliaia di dollari. Inoltre, se il vantaggio della produzione industriale è che si otterrebbe un prodotto concentrato, tuttavia nella raffinazione si perderebbero proteine plasmatiche essenziali alla cura.
Ma torniamo a noi. Marcucci ha in mente una terza fase: la produzione di gammaglobuline iperimmuni con l’azienda israeliana Kamada. Le prime consegne sarebbero previste per ottobre. E non è finita qui. Il plasma raccolto in Italia sarebbe in una prima fase esportato in Israele per garantire una produzione rapida dei primi lotti. Ora, è chiaro che questo grande progetto non è possibile senza un potente sostegno pubblico. D’altro canto già il 14 aprile, lanciando l’Accordo Planet con Marche, Campania e Lazio, la Toscana aveva aperto alla possibilità di industrializzare il plasma. E c’è quel fatto scomodo (o comodo) per cui il fratello dell’amministratore delegato di Kedrion è capogruppo di un partito di maggioranza al Senato. Ma la società respinge le accuse di conflitto di interessi.
Kedrion vuole garantirsi il plasma degli italiani in conto lavorazione e secondo Marcucci riuscirebbe a mettere a disposizione (o meglio vendere) i primi lotti entro l’anno. Il manager toscano conclude così la sua audizione imprevista: “Queste fasi sono tutte in corso… sono tutte in forse… e le stiamo perseguendo”. Che significano queste affermazioni contraddittorie? Kedrion è coinvolta ufficialmente nel progetto nazionale? O no? Le Iene hanno realizzato a tal proposito un interessante servizio. I medici intervistati e coinvolti nella sperimentazione nazionale non hanno idea del ruolo della società farmaceutica. Anche Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani, dice: “Non ne so niente”.
In un’intervista all’agenzia Dire del 27 maggio il coordinatore dello studio Tsunami, Francesco Menichetti, esclude che ci siano commistioni con la Kedrion. Secondo lui le aziende farmaceutiche si occuperebbero eventualmente non del plasma iperimmune, ma di prodotti più avanzati, come le gammaglobuline iperimmuni. Anzi, Menichetti auspica proprio questo ruolo per le aziende farmaceutiche. Ma perché allora Marcucci ha parlato esplicitamente anche di plasma industriale da trattare negli stabilimenti della Kedrion?
Come ammette la stessa società, ancora non c’è un accordo definitivo con lo Stato, ma Kedrion sta sicuramente svolgendo un’intensa attività di lobbying. E dalla sicumera con cui parla Marcucci sembra che le cose stiano andando bene. Almeno finora. Il deputato Massimiliano Panizzut ha presentato infatti con altri colleghi un’interrogazione parlamentare al ministro della salute Roberto Speranza sull’affaire del plasma, citando anche la questione Kedrion, ma nella risposta del ministro non c’è alcun chiarimento sulla produzione industriale.
Se davvero Kedrion si prendesse il plasma dei cittadini, significherebbe privatizzare la cura finora più efficace. Non si può affidare a una società privata la salute degli italiani. Non le si può permettere di fare miliardi sul plasma donato gratuitamente dai sopravvissuti. È lo Stato a doversene occupare, con i suoi laboratori e i suoi medici. Ad esempio, con le banche del plasma proposte da Veneto e Lombardia. Un’altra domanda che sorge spontanea è: ci possiamo davvero fidare di quest’azienda?
Cerchiamo di vederci più chiaro. Kedrion viene fondata dalla famiglia Marcucci nel 2001 in seguito alla ristrutturazione di altre tre società farmaceutiche e nel giro di dieci anni inizia a operare in Ungheria e negli Stati Uniti. Oggi è presente in circa 100 Paesi. Andrea Marcucci, un tempo liberale, poi renziano, oggi senatore del Pd, è consigliere della società e in passato ne è stato amministratore delegato. Oggi quel ruolo è ricoperto dal fratello Paolo (il manager intervenuto a sorpresa al Senato).
Spulciando fra gli azionisti di Kedrion, si scopre un altro tassello della commistione fra politica, grande industria privata e Stato. Nel 2012 il Fondo Strategico Italiano (Fsi) del gruppo Cassa depositi e prestiti (Cdp) entra nel capitale della società: lo Stato diventa azionista (per il 25,1%) di un’impresa di proprietà della famiglia di un senatore di maggioranza. Ancora oggi Cassa depositi e prestiti mantiene una partecipazione diretta in Kedrion, pari al 19,59%. Un altro investitore di rilievo è il fondo FSI Sgr, nato nel 2016 dal Fondo Strategico italiano e gestito da Maurizio Tamagnini, ex amministratore delegato proprio del Fondo Strategico Italiano. Sliding doors, insomma. La società di Tamagnini detiene il 19,59% di Kedrion ed è stata anch’essa finanziata generosamente da Cassa depositi e prestiti con 500 milioni al momento della costituzione. Ma la famiglia Marcucci continua a detenere la maggioranza delle quote in Kedrion con la holding Sestant.
Nel 2014 Kedrion subisce una dura sconfitta: perde il monopolio della fornitura degli emoderivati in Italia. Fino ad allora, infatti, grazie alle norme nazionali aveva l’assoluto dominio di mercato sul territorio nazionale. Monopolio rotto definitivamente nel 2016, quando la Csl Behring si aggiudica la lavorazione industriale del plasma prodotto in otto regioni italiane. E nel 2018 Kedrion perde in casa: l’americana Baxter vince la gara per la fornitura dei prodotti emoderivati in Toscana (e in altre quattro regioni).
Ora proviamo a leggere con attenzione il bilancio di Kedrion e a calcolare gli indici di redditività (che ci dicono quanto la società è capace di generare utili). Quello che esce fuori è un drammatico calo della redditività negli ultimi anni: il suo inizio si può far risalire alla perdita del monopolio dei plasmaderivati e alla maggiore concorrenza nel mercato. Dal 2014, ultimo anno di monopolio, al 2018 la redditività del capitale investito (ROI) è scesa dell’81,5%, mentre la redditività del capitale proprio (ROE) è diminuita del 74% (fonte: banca dati AIDA). Gli utili del gruppo sono scesi dai 40 milioni del 2014 ai soli 10,2 milioni del 2018 (-74,5%). Numeri impressionanti. Si capisce bene perché un affare come quello del plasma faccia gola a questa società. È l’occasione per rilanciarsi, sfruttando economicamente la situazione di difficoltà che si è creata con il virus.
Ma ci sono anche altre grane per la Kedrion. Il 26 marzo del 2013, l’Agenzia del Farmaco dirama un divieto di utilizzo di alcuni lotti di plasmaderivati dell’azienda, perché “provenienti da pool di plasma in cui sono confluite le donazioni di un donatore di sangue con sospetta Encefalopatia Spongiforme Trasmissibile”. Il fatto si ripete il 3 dicembre 2014, il primo agosto 2017, il 28 settembre 2018 e il 4 ottobre 2019. Una serie di episodi che fanno quanto meno dubitare dell’opportunità di affidare alla società il plasma donato dai sopravvissuti al coronavirus. Le possibilità a questo punto sono due. La prima, più realistica, è che il plasma si può lavorare senza problemi e in modo economico in laboratori pubblici, e quindi il coinvolgimento industriale di Kedrion è inutile. La seconda è che le strutture di Kedrion servono davvero per lavorare il plasma e creare farmaci più avanzati.
Anche se la seconda opzione fosse vera, però, non si può permettere a un’impresa privata di lucrare sul coronavirus. Come risolvere il dilemma? Cassa depositi e prestiti, che è già nel capitale di Kedrion, potrebbe comprare altre azioni in modo da avere la maggioranza della società. E se gli altri azionisti si oppongono? Beh, una scappatoia è offerta dall’articolo 42 della Costituzione. Sì, quell’articolo che recita: “La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”. Riuscite a pensare a un motivo di interesse più generale della salute durante una pandemia?