La comparsa di adesivi raffiguranti Anna Frank con indosso la maglia della Roma sugli spalti dello stadio Olimpico domenica scorsa rappresenta l’ennesimo, ultimo in ordine di tempo, episodio di razzismo negli stadi italiani. Lo stesso giorno, il nuovo allenatore del Benevento, Roberto De Zerbi, trovava ad accoglierlo allo stadio uno striscione che recitava: «De Zerbi zingaro». Del medesimo tenore sono stati i cori razzisti indirizzati ripetutamente contro l’allenatore di origini serbe del Torino, Siniša Mihajlović, durante la partita di serie A tra Crotone e Torino dello scorso 15 ottobre. E non era, in verità, la prima volta che questi veniva fatto oggetto di cori offensivi a causa delle proprie origini.
Alla generale indignazione provocata dall’utilizzo dell’immagine di Anna Frank per denigrare l’avversario romanista, il patron della Lazio Claudio Lotito ha replicato dissociandosi dagli autori del gesto e dichiarando che «la Lazio ha sempre messo in campo azioni ed iniziative contro ogni forma di razzismo». La Procura di Roma ha aperto un fascicolo per indagare sull’episodio, oggetto anche di un’inchiesta della FIGC. Al termine della partita tra Crotone e Torino di dieci giorni fa, invece, il giudice sportivo ha inflitto alla società calabrese 5000 euro di ammenda per i cori oltraggiosi e denigratori dei propri tifosi.
Alla domanda se sia giusto punire un’intera società sportiva per l’inciviltà di un gruppo, a volte anche molto ristretto, di tifosi risponde il Codice di Giustizia sportiva della FIGC, che, ai sensi dell’art. 11, afferma che le società sportive sono «responsabili per cori, grida e ogni altra manifestazione che siano, per dimensione e percezione reale del fenomeno, espressione di discriminazione». Tale norma ha recepito espressamente i principi esposti dall’art. 14 del Codice disciplinare UEFA, che nel 2013 ha inasprito le misure nei confronti dei calciatori e dei sostenitori di una squadra che insultino durante le partite di calcio la dignità umana di una persona per motivazioni legate al colore della pelle, alla razza, alla religione o all’origine etnica. Inoltre, ai sensi dell’art. 18 del Codice di Giustizia sportiva della FIGC, a partire dalla seconda violazione (o anche dalla prima nel caso in cui si verifichino fatti particolarmente gravi o rilevanti), oltre all’inasprimento della sanzione pecuniaria, il giudice sportivo potrebbe anche infliggere alla società l’obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse o con uno o più settori privi di spettatori, la squalifica del campo per una o più giornate, la penalizzazione di uno o più punti in classifica fino ad arrivare all’esclusione dal campionato.
Senza doversi rassegnare ad aspettare i provvedimenti del giudice sportivo, un grande contributo alla lotta al razzismo negli stadi potrebbe venire anche dall’arbitro dell’incontro che, in accordo con il responsabile dell’ordine pubblico designato dal ministero dell’Interno per la partita in oggetto, può non iniziare o sospendere una gara di fronte a ogni manifestazione discriminatoria dei sostenitori delle squadre. A quel punto il pubblico verrà informato sui motivi della decisione attraverso gli altoparlanti e verrà invitato a interrompere i cori denigratori, pena la sospensione definitiva della gara e la conseguente vittoria a tavolino della squadra avversaria.
Fonte: Treccani.