di Roberto Mania
Per superare le storture del neoliberismo e dei populismi occorre riformare il nostro sistema economico in senso più democratico e sostenibile. E rimettere al centro l’interesse collettivo Fabrizio Barca e Enrico Giovannini firmano un pamphlet che indica la strada alla sinistra
Il mondo si può cambiare. Fabrizio Barca ed Enrico Giovannini hanno scritto un libro-conversazione ( Quel mondo diverso. Da immaginare, per cui battersi, che si può realizzare, a cura di Gloria Riva, pubblicato da Laterza) per spiegare perché, come farlo e chi può (deve?) farlo. È un libro contro il neoliberismo, il populismo, il post- ideologismo della destra ma anche della sinistra, il disincanto, i pigri luoghi comuni, la tecnocrazia senza politica, la dittatura del Pil. È un libro per un capitalismo democratico, la democrazia partecipata, lo sviluppo sostenibile, la riduzione delle disuguaglianze, l’interventismo statale e quello dei cittadini, il ricambio generazionale. È un manifesto per una nuova politica, un’agenda per il futuro, prossimo non remoto.
Perché un altro mondo è possibile, radicalmente diverso da quello attuale. E si può costruire fin d’ora, partendo dall’Europa, probabilmente. Utopia? «Sento già un sollevarsi di critiche — risponde Barca nel dialogo con Giovannini — da parte di chi ritiene che le nostre posizioni sono vaghe o utopiche, che i nostri obiettivi sono troppo ambiziosi. A loro rispondo che una larga parte di quanto abbiamo fin qui avanzato somiglia molto a quanto avvenuto in altre fasi della storia del capitalismo, e che sta già avvenendo in singoli territori del nostro Paese. Come è possibile? Paolo Sylos Labini sosteneva che il capitalismo è capace di adattarsi ai conflitti e alle pressioni che si trova di fronte». Barca e Giovannini sono due economisti, e dall’economia si dipana la loro analisi per finire in una dettagliata proposta politica. In un “manifesto per un nuovo impegno politico”, come dice Barca. Pensando all’area progressista.
Entrambi, Barca e Giovannini, sono stati ministro: il primo alla Coesione territoriale nel governo guidato da Mario Monti; il secondo al Lavoro nel governo di Enrico Letta. Entrambi sono tecnici: l’uno, Barca, figlio di Luciano, storico dirigente del Pci, con la grande passione della politica, è stato capo del Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione del ministero del Tesoro; l’altro, Giovannini, professore ordinario di statistica economica, è stato presidente dell’Istat, di cultura e formazione cattolica, non ha mai avuto una tessera di partito. Entrambi pensano che l’attuale modello di sviluppo vada rovesciato. Barca è il coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità, Giovannini è il portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS). Fanno politica ma fuori dai partiti che — dice Barca — appaiono ormai «cloroformizzati».
Dunque, è il capitalismo malato nella versione neoliberista che va riequilibrato. «Non il capitalismo in sé», precisa Giovannini. Ma un modello rapace che ha invaso il mondo, ossessionato dalla ricerca della creazione di ricchezza a tutti i costi, dall’esaltazione del ruolo dei mercati, dalle privatizzazioni sempre e comunque, dalla critica all’intervento statale. Quell’economia guidata dai tecnici e dalle burocrazie tecnocratiche degli organismi internazionali (dall’Fmi all’Ocse), con la politica che si è piegata, arrendendosi. Un «capitalismo senza redini», appunto. «Il rapporto fra capitalismo e democrazia può squilibrarsi — spiega Barca —. Ed è esattamente quello che è successo: i meccanismi di riequilibrio che la democrazia ha esercitato e sta esercitando nei confronti del capitalismo sono deboli ». Cambiare, allora, il modello di sviluppo. Giovannini: «Il Covid- 19 ha reso più evidenti i rischi che stiamo correndo rispetto al futuro se non affrontiamo seriamente il tema della sostenibilità, non solo ambientale, ma anche economica e sociale. Da questo punto di vista, credo — e non è solo una cieca speranza — che questa crisi ci lascerà un capitalismo più responsabile, più avverso al rischio, anche se ancora alla continua ricerca di occasioni di profittabilità».
Spetta alla politica riprendersi il primato. Con una premessa: «Coloro che hanno dato per superata la distinzione tra destra e sinistra — sostiene Giovannini — devono rassegnarsi: è tutt’altro che superata. E aggiungo: deve tornare a essere affermata con forza». Da qui in poi la conversazione diventa politica in senso stretto. C’è la proposta di «un nuovo soggetto politico progressista» che riparta dal basso, dall’attivismo civico, dai movimenti, dai territori e che sappia declinare non solo la strategia del diverso modello economico e sociale di sviluppo, ma anche valori morali («le papille morali», le chiama Barca) come autorità, lealtà, sacralità. Terreno piuttosto inedito, per la sinistra. Barca: «L’autorità per la sinistra dovrebbe essere quella che si conquista e si fonda attraverso il confronto acceso, aperto, informato e ragionevole, volto a mettere a repentaglio convincimenti, modificarli e trovare fra essi soluzioni-intersezione, a esito del quale prendere decisioni e compiere azioni.
Nella mia vita professionale ne ho visto un esempio, all’interno di un contesto istituzionale, nel modello Ciampi. La sinistra può e deve giocare la carta dell’autorità, ma essa è inestricabilmente collegata al confronto pubblico, uno dei pilastri della democrazia». Poi la lealtà. Dice ancora Barca: «La sinistra non può esibire semplicemente un cosmopolitismo aperto che nega le relazioni comunitarie e trascura il senso di lealtà». La lealtà è il rispetto del contratto. «È una pratica morale che buona parte della sinistra non ha coltivato, assimilandosi a seconda dei casi alla lettura neoliberale o autoritaria ». Infine la sacralità.
Per i neoliberisti vuol dire mercato e merito. Ma per la sinistra? «L’interesse collettivo», risponde Barca. «Io — chiude Giovannini — mi direi soddisfatto se un nuovo soggetto politico progressista interpretasse il concetto di sacralità secondo i principi espressi dall’Agenda 2030 perché significherebbe un impegno a garantire l’avvento di un mondo realmente sostenibile ». Il programma c’è. Manca il partito.