il dibattito
di Vladimiro Zagrebelsky
Dell’intervento di ieri di Massimo Cacciari su questo giornale un punto va con forza condiviso. Sono inammissibili la violenza verbale (e talora fisica), gli insulti e le minacce che accompagnano il dibattito su questa o quella forma di obbligo vaccinale e sulla subordinazione dell’accesso a certi servizi all’esibizione del certificato di vaccinazione. In questa, come in ogni altra occasione di discussione pubblica, l’esercizio della libertà d’espressione di opinioni, dubbi, contestazioni risponde non solo a un diritto sacrosanto, ma anche ad una esigenza fondamentale in una società democratica.
È grave dover constatare il degrado civile che hanno assunto le forme di contrasto alle posizioni altrui. Il valore del dibattito e del confronto di argomenti è poi particolarmente alto quando si discuta di soggetti tanto rilevanti come quelli che riguardano la salute dei singoli e della comunità e la libertà di ciascuno. Ciò detto l’argomentare di Cacciari sollecita qualche osservazione critica, rilevante sia per l’eventualità della imposizione di un obbligo vaccinale, sia per lo strumento di “sollecitazione” a vaccinarsi rappresentato dall’uso imposto del certificato di vaccinazione. Il fulcro della posizione di Cacciari si trova nella denuncia dell’insufficienza delle informazioni sulla sicurezza ed efficacia dei vaccini e nella rivendicazione del diritto a riceverne di affidabili per poter effettuare le scelte necessarie in un momento importante di libertà.
La questione sollevata presenta diversi aspetti. È stata più volte rilevata la insufficienza e la contraddittorietà delle informazioni che nel corso della pandemia hanno raggiunto l’opinione pubblica. Alle comunicazioni provenienti dalle autorità pubbliche facenti capo al governo si sono aggiunte molte e discordanti voci di esperti vari di numerose e diverse discipline mediche. L’effetto ancor ora presente è stato negativo ed è andato oltre ciò che deriva dal carattere proprio di questa pandemia: l’ignoranza iniziale su tanti profili del virus, la progressiva conoscenza acquisita, l’aggiustamento continuo del quadro di riferimento per una comunità scientifica alla ricerca di soluzioni. È evidente il nesso tra conoscenza ed esercizio della libertà di scelta, anche se l’insufficienza delle fonti di informazione non giustifica una conclusione che allora non vi sono limiti alle scelte di ciascuno. Il problema riguarda la libertà, richiamata nel dibattito non solo italiano, ma europeo ove è stata messa in rilievo la massa di limitazioni che, senza sollevare obiezioni, ciascuno subisce e accetta come condizione di vita della e nella comunità. La questione, infatti, è quella dei limiti alla libertà individuale, non in astratto, ma nella specifica materia. E se ci si riferisce al piano del diritto, del diritto costituzionale e del diritto dei diritti fondamentali in Europa occorre tener conto del fatto che il campo è stato già arato e che alcuni principi sono acquisiti. Proprio in tema di limitazione del diritto fondamentale di rifiutare trattamenti sanitari come in particolare i vaccini, da tempo, ripetutamente ed anche recentemente si sono pronunciate sia la Corte costituzionale, sia la Corte europea dei diritti umani. Entrambe hanno ritenuto che gli Stati possano imporre le vaccinazioni, nelle forme e modi ritenuti adeguati alla necessità di proteggere la salute della comunità con la copertura vaccinale. In Italia è esplicito l’articolo 32 della Costituzione quando definisce la salute come diritto fondamentale della persona e interesse della comunità. Tanto che, nel rispetto della persona, la legge può imporre trattamenti sanitari. Si tratta di una norma costituzionale specifica, che riflette un carattere fondamentale del nostro sistema costituzionale, che, all’articolo 2, afferma il legame stretto tra i diritti dei singoli e «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà».
Dal punto di vista del diritto, dunque, in questa materia non ha senso la pretesa di libertà individuale senza limiti. Naturalmente il tenore del diritto espresso dalla Costituzione ed elaborato dalle Corti istituite per interpretarlo ed applicarlo può essere discusso e criticato. Ma non può essere ignorato. Tuttavia, una volta acquisito che la legge può imporre la vaccinazione a tutta la popolazione o ad una sua parte, il discorso non si chiude qui. Si apre invece l’ampio campo delle scelte politiche di cui una possibile legge è espressione. E il Parlamento che voglia legiferare nel senso di prevedere un obbligo vaccinale non è solo condizion
ato dal dovere di rispettare le persone cui l’obbligo venisse imposto, ma anche da considerazioni di rilievo costituzionale raramente emerse nell’attuale dibattito. La Corte costituzionale, in tema di salute e trattamenti sanitari, ha più volte negato che la discrezionalità politica legislativa sia senza limiti. In una materia così delicata e caratterizzata dal rilievo delle conoscenze scientifiche in continua evoluzione, non sono ammissibili decisioni che non prevedano «l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi -di norma nazionali o sovranazionali- a ciò deputati», e non siano conformi al «risultato di una siffatta verifica».
Il passo preliminare che deve compiere un legislatore che intenda imporre la vaccinazione è dunque la ricerca del fondamento scientifico della valutazione di quanto i vaccini siano sicuri ed efficaci. Le competenti istituzioni nazionali ed europee si sono espresse, ma il dibattito politico che accompagna la preparazione di ogni legge evidentemente non può prescindere dalla informazione dell’opinione pubblica. Essa deve essere quanto più ampia ed accessibile possibile anche se di carattere altamente tecnico. Solo dopo superata questa fase della necessaria valutazione, si aprono gli altri momenti della decisione: quelli relativi alla praticabilità della imposizione di un obbligo, alla natura delle possibili sanzioni per chi vi si sottrae, alla vastità della parte di popolazione che ne sia oggetto, eccetera. Insomma, è improprio impostare una resistenza a possibili interventi legislativi in termini rivendicazione di libertà individuale e di rifiuto di limitazioni. Ma la legittimazione dei poteri pubblici, nel metodo e nel contenuto, non si trova in una discrezionalità politica senza limiti.