Sono i più grandi scultori del mondo e lavorano nella stessa città, Roma: c’è ancora una settimana di tempo per visitare la grande mostra alle Gallerie d’Italia che racconta il confronto tra Antonio Canova (1757-1822) e Bertel Thorvaldsen (1770-1844).
Nel 1922 Daniel Berkeley Updike, pioniere della storia della tipografia e uno dei suoi massimi esponenti, afferma al di là di ogni dubbio che fu Giambattista Bodoni a creare il carattere “moderno” per eccellenza, l’arcinoto e tutt’ora usatissimo Bodoni messo a punto alla fine del Settecento. È quello un periodo di grandi trasformazioni sociali ed economiche che si riflettono nella ricerca di nuovi stili, nuovi linguaggi. Nel 1748 sono cominciati gli scavi di Pompei, nel 1764 Winckelmann ha pubblicato la sua Storia dell’arte, l’Europa alla fine del secolo è dominata dalla figura di Napoleone. È giunto il momento di chiudere l’ormai esangue esperienza del Barocco e delle sue espressioni più grottesche come il Rococò. Si inaugura quello che sarà definito il Neoclassicismo il cui credo è, nelle parole di Winckelmann, “l’unica via per diventare grandi e, se possibile, inimitabili, è l’imitazione degli antichi”.
Modello dichiarato di Bodoni era Antonio Canova.
Una mostra alle Gallerie d’Italia – Canova, Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna –ripropone il decisivo passaggio nell’arte a cavallo del Sette e Ottocento.
Canova era nato nel 1753 a Possagno in Veneto, ma nel 1781 – dopo un decisivo passaggio a Napoli – si trasferisce a Roma. Ed è da considerarsi a tutti gli effetti un scultore romano. Come scultore romano è pure Bertel Thorvaldsen, nato a Copenhagen nel 1770 e trasferitosi a Roma nel 1797. I due artisti si contesero, fino alla morte di Canova nel 1822, la palma di più grande artista dell’epoca.
Canova, quando si trasferisce a Roma, porta con sé una tecnica rivoluzionaria: prima di realizzare il marmo definitivo, materiale costoso e laborioso, realizza delle prove in argilla e gesso a grandezza naturale supportate da un’anima in metallo. Questa tecnica gli consente un passo decisivo: può lavorare non soltanto su commissione ma anche liberamente, assecondando la propria creatività. Questo metodo gli consente inoltre una straordinaria produttività. Canova crea il bozzetto e la copia in gesso, i suoi collaboratori realizzano l’opera in marmo a cui Canova si riserva di dare i tocchi finali e la lucidatura. Diventa così il primo scultore moderno.
Roma è allora arbitra nella consacrazione degli artisti che vi arrivano da tutto il mondo. Non soltanto più il papato ma mecenati laici, viaggiatori del Grand Tour, lo stesso pubblico cittadino abituato alla bellezza dei modelli greci e romani che via via si scoprono e si espongono, ne determinano le sorti.
Canova viene subito apprezzato da Gerolamo Zulian, ambasciatore veneto presso la Santa Sede, da Quatremère de Quincy, filosofo e critico d’arte francese, dal grande pittore Pompeo Batoni, con cui collabora. Nel 1783, a pochi mesi di distanza, riceve due importanti commesse: i monumenti funerari dei papi Clemente XIV, completato nel 1787, e Clemente XIII, il veneziano Carlo della Torre di Rezzonico, completato nel 1792. I gruppi scultorei – che si trovano oggi ai Santi Apostoli e ai Musei Vaticani a Roma – gli garantiscono un successo clamoroso. Nel 1802 incontra Napoleone di cui scolpisce un busto, in mostra, e il colossale Napoleone come Marte pacificatore (il marmo è in Inghilterra nella Apsley House, già appartenuto al suo grande antagonista il duca di Wellington, il bronzo e il gesso si trovano a Brera). È ormai considerato il più grande e riceve commissioni da tutta Europa e dagli Stati Uniti (per i quali crea una scultura di Washington oggi distrutta).
Lo stesso Napoleone lo vorrebbe come artista di corte a Parigi ma Canova con l’imperatore non ha un rapporto facile. Sebbene la famiglia Buonaparte sarà durante tutta la sua carriera tra i suoi committenti più generosi, la svendita del Veneto all’Austria, la spoliazione dei capolavori italiani, lo trattennero sempre dal “concedersi” completamente al fascino dell’imperatore. E nel 1815, alla sua caduta, è proprio Canova che giunge a Parigi per recuperare, per conto del papato, le opere d’arte trafugate dalla Francia. In quell’occasione ha l’opportunità di visitare Londra e vedere con i propri occhi gli Elgin’s Marbles: le metope del Partenone scolpite da Fidia che lord Elgin sottrae ai greci e porta in Inghilterra.
Fino agli ultimi anni la sua attività è prodigiosa per qualità e quantità. Diventa accademico di San Luca e marchese d’Ischia. Si spegne a Venezia nel 1822.
Anche Thorvaldsen deve considerarsi a pieno titolo un artista romano. Quando giunge nella capitale ha studiato i marmi del Partenone nei disegni di Edward Dodwell, è consapevole della lezione di Winckelmann, sa che è Canova il modello da raggiungere ed eventualmente superare. Quando nel 1803 presenta a Roma la scultura Giasone con il vello d’oro è lo stesso Canova ad affermare “quest’opera di quel giovane danese è fatta in uno stile nuovo e grandioso”. E di fatto alla scomparsa di Canova ne fu il naturale erede fino alla morte avvenuta nel 1844.
La mostra – impeccabile, ricchissima, degna di un grande museo – mette a confronto i due artisti negli aspetti più significativi della scultura dell’epoca. Gli autoritratti (e i loro ritratti fatti da altri artisti, segno tangibile della gloria raggiunta già in vita); le Grazie e la danza con un confronto straordinario tra le Tre Grazie di Canova e le Grazie con Cupido di Thorvaldsen; i grandi ritratti (Leopoldina Esterhazy, Pio VII, Cimarosa, Francesco I d’Austria) di Canova e quelli di Thorvaldsen (Caterina Branciforte, Klemens von Metternich, Alessandro I, la splendida duchessa di Sagan); le Veneri in un’emozionante sfida tra i due artisti che si cimentano con le dee, con Marte e Adone; le rappresentazioni dell’amore, il genere “grazioso” quindi dopo quello eroico (Apollo, gli amorini, Cupido o Eros); Amore e Psiche, uno dei momenti più alti della competizione tra i due scultori; i Ganimede e gli Apollo e il Pastorello di Thorvaldsen.
Culmine della mostra è il confronto tra le sculture di Ebe, la coppiera degli dei. I due capolavori sono esposti uno di fianco all’altro. Quello di Thorvaldsen è più casto, solo un seno è scoperto, il volto di Ebe riflessivo mentre guarda la coppa. Quello di Canova vibrante nel movimento della dea che, a seno completamente scoperto, versa da una brocca l’ambrosia nella coppa. Il drappeggio della Ebe di Thorvaldsen è di una classicità perfetta, da ninfa warburghiana, quello della Ebe di Canova sembra svolazzare, la stoffa aderente sulle gambe della dea. Il danese sembra raggiungere l’apice della classicità. Il veneto lo supera e apre una nuova stagione. Nelle parole di Stendhal: “Una bellezza moderna, romantica”.
La mostra si conclude con due stupendi cicli di bassorilievi: l’Ingresso di Alessandro Magno in Babilonia, commissionato da Napoleone a Thorvaldsen per il Quirinale, che avrebbe dovuto diventarne la residenza a Roma e che, dopo la caduta dell’imperatore, furono realizzate per villa Carlotta sul lago di Como per volere del potente politico Giovanni Battista Sommaruga (in mostra sono riprodotti i modelli in gesso oggi ai Musei Civici di Pavia); e i cosiddetti bassorilievi Rezzonico, dal suo committente il principe Abbondio Rezzonico, realizzati da Canova in gesso nel 1792: Giustizia, Carità, Speranza, Dare da mangiare agli affamati, Insegnare agli ignoranti, cinque grandi soggetti omerici e tre – splendidi – che rappresentano gli ultimi istanti della vita di Socrate, oggi nella sezione ottocentesca delle Gallerie d’Italia.
Canova | Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna, a cura di Stefano Grandesso e Fernando Mazzocca, Milano, Gallerie d’Italia – Piazza Scala, prorogata fino al 28 giugno 2020.Canova. I volti ideali, a cura di Omar Cucciniello e Paola Zatti, Milano, Galleria d’Arte Moderna, fino al 15 marzo 2020.