di Marco Imarisio
Con le elezioni regionali in Toscana il problema più grosso è di ricordarsi che ci sono le elezioni. La propaganda questa volta non aiuta. Nel centro di Firenze non c’è nulla, ma proprio nulla. Nessun cartellone, nessun volantino. Sul retro degli autobus le pubblicità sono quelle di rito, nessun faccione di aspirante presidente o consigliere. Le uniche affissioni abusive sono quelle di agenzie immobiliari e centri termali che si mangiano lo spazio lasciato vuoto dai partecipanti a una competizione politica mai così in incognito.
Alla fine dello scorso agosto Matteo Renzi prese di sorpresa i suoi fedelissimi della prima ora, che meditavano rivincite alle primarie dopo anni di presunte angherie da parte di Enrico Rossi, governatore berliguerian-bersaniano per qualche tempo ritenuto dai sostenitori della ditta un possibile argine all’ascesa del rottamatore. Fermi tutti, va bene così. Ciao primarie, riconferma «naturale» per l’ex rivale. Gli storici renziani sono incerti se attribuire quell’improvvisa benedizione alla stima reciproca tra due soggetti agli antipodi, come da versione ufficiale, oppure se considerarlo effetto collaterale del pastrocchio emiliano-romagnolo combinato dal fedelissimo Matteo Richetti che per eccesso di zelo si era candidato in solitaria alle primarie contro Stefano Bonaccini, causando un maremoto nel partito. Ma poco importa. L’unica certezza è che nel centrosinistra le elezioni sono finite quel giorno. Da allora il pisano Rossi non ha più detto una parola contro il fiorentino Renzi, incassando i dividendi di una intesa più che cordiale. Solo nell’ultimo anno ha portato a casa la riqualificazione dei porti di Piombino e Livorno, il via libera all’autostrada tirrenica e a breve il rilancio della zona industriale di Carrara. Appena il caso di notare che sono provvedimenti che riguardano la costa, zona più colpita dalla crisi e per tradizione la più ostile al centrosinistra.
Una volta superato il dettaglio di elezioni che sembrano svolgersi all’insaputa della Toscana, ci sarebbe poi il compito non facile di tenere a mente tutti i nomi dei candidati del centrodestra e la sua scomposizione modello cubo di Rubik. Sembra ieri che c’era il patto del Nazareno. Chi decideva in Toscana aveva per forza di cose l’egemonia all’interno di Forza Italia, questione di contiguità con Matteo Renzi. La nuova legge elettorale regionale, così simile a quella nazionale, approvata poco prima che l’accordo trasversale andasse gambe all’aria è uno degli ultimi frutti di quella stagione. Denis Verdini comandava qui da quindici anni almeno. Adesso la resa dei conti tra l’ex uomo forte di Forza Italia e la viareggina Deborah Bergamini che lo ha scalzato dai posti di comando del partito è in realtà una corsa impari. Memore di recenti tentativi di rivolta, Verdini aveva contribuito a varare un listino facoltativo che avrebbe dovuto decidere a priori i nomi degli eletti, sconosciuti persino agli elettori. Ma la sua arca di Noè è stata subito colpita e affondata. La «nuova» Forza Italia ha deciso di non fare ricorso a quell’espediente che aveva imposto come conditio sine qua non per far passare la nuova legge.
La sfida con la Bergamini si gioca sulle preferenze. «Così vediamo un po’ chi conta davvero da queste parti» avrebbe detto Verdini. Ma è il ruggito di un leone sdentato che ha dovuto ingoiare l’umiliazione di vedere imposto come capolista Marco Stella, già candidato sindaco contro Fausto Nardella, conosciuto come paladino dei bancarellai ambulanti, è figlio d’arte, ma da sempre il più feroce degli anti-verdinisti, così cocciuto nella sua opposizione da essere passato nel giro di pochi mesi da panda compatito da tutti e beniamino di Deborah Bergamini. Il suo pupillo Tommaso Villa è terzo in lista, la nuova legge prevede l’alternanza uomo-donna. Verdini ha dato ordine di concentrare le preferenze su di lui, senza dispersioni, anche perché non tira certo aria di gran raccolto. La Lega Nord corre da sola, così come Passione Toscana, che è la lista di Gianni Lamioni, l’imprenditore maremmano scelto da Verdini prima del crollo che si è poi messo in proprio. Dai fasti del patto del Nazareno alla gara per il premio di consolazione rappresentato da un consigliere regionale. Così va la vita. Nel crepuscolo azzurro rischia di perdersi la candidatura a presidente di Stefano Mugnai, che promette almeno di restare a fare opposizione. Una novità.
L’indubbia attrazione rappresentata da schede a lenzuolo capaci di contenere i nomi dei 715 candidati consiglieri non sembra suscitare curiosità negli elettori. Ieri Renzi ha esortato i suoi corregionali «a non fare i bischeri» e quindi a votare in massa. L’astensione avanza del dieci per cento a ogni giro di giostra. Per la prima volta il numero di quelli che resteranno a casa potrebbe essere superiore a quello di chi prenderà la strada del seggio. Cosa farà Livorno dopo il terremoto a Cinque Stelle delle Amministrative? E siamo proprio sicuri che a giochi fatti l’assessorato alla Sanità, ovvero il controllo dell’ottanta per cento del bilancio, finirà come promesso all’ultrarenziana Stefania Saccardi, attuale vice di Rossi? In ogni elezione non mancano mai gli spunti interessanti. Ma tutto questo la Toscana non lo sa.