Se sei morto, e stato ammazzato, e in vita sei stato famoso, trasmettono i tuoi funerali in TV. Sicuro. Nel frattempo tu sei risorto in un letto bianco, in una stanza bianca, dovrebbe essere l’aldilà cattolico, o qualcosa del genere, e intorno ti passano come volando persone vestite di bianco, sono gli angeli, o qualcosa del genere, e tu da risorto chissà perché non vedi, ma senti, piano, come ovattato, il tuo funerale. Questi angeli intorno a te piangono. Mormorano “Kennedy”. E perché piangono Kennedy, se il morto famoso sei tu!? Vuoi vedere che della tua, di morte, a nessuno frega, e in quella che sembra una TV, passano cosa, la replica del funerale di John Kennedy!? In effetti… tu ti senti ben vivo, ma pieno di dolori.
Andy Warhol non era morto, era sopravvissuto alle pallottole di Valerie Solanas, e mentre pensava e questo viveva stava al Columbus Hospital di New York, in stato di semi coscienza post-operatoria, e ciò che sentiva da una TV lontana era il funerale di Robert Kennedy. La racconta proprio così, Andy, postuma, nei suoi Diari, e dice pure che, a Bob Kennedy, non gliela ha perdonata. Perché, di essere stato sparato tre giorni dopo di lui, passi, ma di morirci, e così prendersi tutta la gloria nazionale, se non mondiale, e no! A Warhol non si fa. Non sta bene. Famosi per 15 minuti, ci sta, funziona, ma per gli altri, mica per Warhol che per il suo tentato assassinio voleva la riverenza e l’attenzione dal mondo intero. Non gli riesce, non è possibile, perché Valerie Solanas spara a Warhol il 3 giugno 1968, e Bobby Kennedy viene colpito il 6, e muore. Giornali, radio e TV, che si erano buttati su Warhol, lo mollano per fiondarsi su ciò che in audience e copie vendute non ha rivali: la morte. Che poi, quella di Bob Kennedy non è solo la morte sparata di un uomo ricco e famoso: Kennedy muore in diretta, ci sono le immagini che, sebbene al tempo non balzano su siti e social, non importa. È una morte scenografica in sé. C’hai tutto, il dramma, il sangue, e caos e lacrime e terrore, e la moglie-vedova incinta dell’undicesimo figlio disperata, e un prete giunto per l’estrema unzione.
Bobby Kennedy viene colpito alla testa e alla spalla da tre delle otto pallottole sparate dal giordano-palestinese Sirhan B. Sirhan (il quale, da 53 anni, dal carcere dove sconta l’ergastolo, si fa vittima di indimostrati complotti, ma ha sparato lui, con la pistola del fratello, ferendo altre cinque persone con le pallottole che mancano Kennedy). Il fatto avviene alle 0,20 ora di Los Angeles, e in Italia sono le 9,20 del mattino, e non so ma dubito qui siano andati in edizione straordinaria sia televisiva che stampata. In Italia, dei Kennedy, del loro pensiero ma soprattutto azione politica un cavolo si è capito. Si è voluto capire. Capirlo significherebbe mandare a p*ttane tutte le p*ttanate che nell’Italia degli anni ’60 in generale e del 1968 in particolare si blateravano, da destra, sinistra, centro, ovunque, comprese le baggianate propalate dai sessantottini ora boomersil cui giudizio lascio a voi. Ho qui con me una copia di Panorama del 13 giugno 1968 dedicata all’omicidio riuscito di Robert Kennedy e a quello tentato a Andy Warhol. E qui Bob Kennedy è trattato al solito alla stregua di un personaggio da tragedia o da soap opera. Si opta per il glamour per celare l’ignoranza della politica americana in generale e di quella kennediana in particolare. Non si mette in risalto che Bob Kennedy è colpito dalle pallottole di un giordano-palestinese a un anno esatto dallo scoppio della guerra dei Sei giorni in Medio Oriente, e che Kennedy si è sempre schierato dalla parte di Israele, ripetendo perentorio ancora pochi giorni prima di morire: “La Palestina non è storicamente solo degli arabi: che gli Stati arabi si tolgano dalla testa di cancellarne Israele!” (ciò che l’Iran vuole e briga tutt’oggi). Nel 1963 John Kennedy, presidente degli Stati Uniti, vuole risolvere la questione dei profughi palestinesi quando ancora la questione non era di tale portata, e i profughi sommavano un numero gestibile. John Kennedy mette su una squadra a cui ordina un censimento dei profughi e la cernita dei beni che i palestinesi spodestati dal 1948 hanno perso, così da compilare un riordino e dei risarcimenti fattibili. Un lavorone che poteva essere fatto in un anno se Kennedy non fosse stato ucciso a Dallas, lasciandolo in eredità a un Lyndon B. Johnson che di politica estera sa zero, e di questione mediorientale ancora meno.
Ma voglio tornare alla morte di Bobby Kennedy: si fa passare per vera l’idea che se non fosse stato ucciso avrebbe conquistato la Presidenza, ma quando mai!? Era sceso in campo tardi, a gara iniziata, e soltanto dopo la rinuncia di Johnson, presidente in carica, a un secondo mandato. Aveva partecipato a sole 5 primarie vincendone 4, e dopo la vittoria in California e Sud Dakota aveva 650 dei 1312 voti necessari a ottenere la nomination alla Convenzione Nazionale. Come ottenerli, ché negli Stati del Sud il suo nome era anatema, e con il diretto rivale, Hubert H. Humphrey, che aveva in mano i capoccia del Partito Democratico, sia politici che sindacali? Più concretamente RFK virava a presentarsi in ticket con Humphrey, per poi tentare la scalata alla Casa Bianca da front-runner nel 1972.
E che dicono su Panorama del povero Andy Warhol a patire in ospedale? Gli va male: non solo a Robert Kennedy riservano l’intera copertina, ma addirittura Andy lo infilano a pagina 65, due colonnine con foto piccolina. Peggio ancora: sbagliano la data del suo ferimento, retrocedendola al 3 maggio (e i settimanali al tempo avevano revisori e di bozze correttori, a meno che non stessero lì a scaldare sedie) e da quanto scrivono si capisce – l’articolo non è firmato – che del genio warholiano in Italia in generale e su Panorama in particolare poco sanno e si intendono. Andy Warhol è un “autore di film sotterranei, tra cui Ragazze di Chelsea, che gli ha reso mezzo milioni di dollari […] ha tenuto a battesimo la pop art introducendo come soprammobili nei salotti scatole di minestra Campbell e di lucido da scarpe, che gli amatori valutano migliaia di dollari”. Da non crederci: traducono underground alla lettera, ignorando totalmente di cosa si tratti.
*Robert Kennedy su Israele è tratto da: Robert F. Kennedy, Vogliamo un mondo più nuovo, Garzanti, 1968.
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