L’ex segretario depone come testimone davanti ai pm nell’inchiesta sulla Fondazione. Oltre a lui sentiti altri notabili dem: Bindi, Orfini, Martina, Nardella, Epifani, Cuperlo. Il leader di Italia Viva: “ Il processo si fa sui media senza contraddittorio”
di Luca Serranò
«La componente renziana aveva l’obiettivo di scalare il partito attraverso una piattaforma politica molto aggressiva, un sistema ampio di relazioni e una vera e propria raccolta fondi». È il 30 novembre dell’anno scorso e Pierluigi Bersani depone davanti ai magistrati fiorentini che indagano sulla Fondazione Open. E l’ex segretario, che ha lasciato il partito nel 2017, risponde per un’ora. Non è l’unico; nell’ultimo anno una lunga teoria di notabili dem sono sfilati davanti al procuratore aggiunto Luca Turco e al sostituto Antonino Nastasi: Rosy Bindi, Guglielmo Epifani, Giovanni Cuperlo, Matteo Orfini, Dario Nardella. I pm ripetono quasi sempre, con formulazioni diverse, tre quesiti: « che rapporti aveva con la Fondazione? »; «Ha mai maturato la consapevolezza che la corrente renziana potesse avere l’obiettivo di scalare il partito con un sistema ampio di raccolta fondi? » ; « È venuto a conoscenza che i parlamentari che si richiamavano alle posizioni di Matteo Renzi hanno versato contributi a Open in modo analogo ai versamenti che solitamente i parlamentari fanno al partito? » . Bersani, quel 30 novembre, prosegue spiegando come il Giglio magico e il suo apparato avessero cercato di coinvolgere nel progetto persone esterne al partito, interessate a suo dire «a tagliarne le radici della sinistra storica politica e sindacale». Riguardo il tema dei finanziamenti, centrale nella ricostruzione dei pm per dimostrare la natura di articolazione di partito dell’ente, Bersani puntualizza: «era chiaro a tutti che Renzi in contemporanea ricopriva il ruolo di segretario ma aveva anche una propria struttura che si occupava di relazioni e di raccolta fondi. Questo tema non è mai stato discusso dagli organismi di partito, era un momento di crescita elettorale e si è ritenuto di non affrontare la questione. È stata una delle questioni che mi convinsero dello snaturamento del partito stesso».
Il 21 dicembre 2020 è Rosy Bindi, presidente dell’assemblea nazionale Pd tra il 2009 e il 2013, a essere chiamata a testimoniare: « Era evidente a tutti che la componente renziana era una realtà con una forte auto organizzazione e condizionante dal punto di vista politico, tanto che era riuscita a eleggere il segretario del partito». Alla domanda se fosse a conoscenza di versamenti alla Fondazione da parte di parlamentari Pd del “ blocco” Renzi, risponde: « Non ho mai avuto questa informazione, anche se era evidente che manifestazioni come quelle della Leopolda comportavano spese rilevanti».
Sempre il 21 dicembre 2020 il pm Luca Turco ascolta anche il successore di Bersani alla guida del partito, Guglielmo Epifani, e l’ex presidente dell’assemblea nazionale, Giovanni Cuperlo. A testimoniare vengono chiamati anche Matteo Orfini e Maurizio Martina: «Mai avuto rapporti con la Fondazione » , la versione data dai due ai pm. Tra gli ultimi a essere sentiti il sindaco Dario Nardella: «Ricordo che la Fondazione di Alberto Bianchi aveva fornito un sostegno elettorale a vari candidati riconducibili all’area politica di Matteo Renzi ( il riferimento è alle elezioni politiche del 2013, ndr) — dice Nardella — Bianchi mi mise al corrente dell’intenzione della Fondazione di sostenere me e mi parlò anche del sostegno che la Fondazione avrebbe fornito ad altri candidati » . Riguardo i rapporti economici con Open, il sindaco di Firenze conferma solo un contributo di 1.800 euro alla Fondazione risalente al 2014: « Non ricordo eventi politici promossi da Open durante la mia campagna elettorale del 2014 come candidato sindaco».
Dopo alcuni giorni di silenzio sulla vicenda, intanto, Renzi torna a parlare dell’inchiesta. E attacca: «In questi giorni, prosegue a puntate come una telenovela la pubblicazione delle carte dell’accusa. Dal 2019 questo processo si fa sui giornali senza contradditorio — scrive nella sua newsletter Enews — Il processo Open è già stato celebrato nel tempio del giustizialismo, lo spazio media e social. Chiamano libertà di informazione quella che, in realtà, è una reiterata violazione di ogni forma di privacy, di guarentigie costituzionali, di rispetto della libertà personale e dell’iniziativa economica. Farò di tutto per far emergere in ogni sede giudiziaria lo scandalo che si sta consumando nel silenzio di qualsiasi voce istituzionale».