GLI esami europei sulle banche sono passati da un mese e, in teoria, ormai doveva essere iniziata una navigazione più calma: la vigilanza ora passa alla Bce, a velocità di crociera. Invece sta accadendo l’opposto. La svolta per il mondo del credito in Italia (e non solo) si sta rivelando più radicale del previsto. Alle banche minaccia di portare nuovi ammanchi di capitale fino a 16 miliardi, per le famiglie e le imprese un prolungamento della stretta al credito e per il governo una novità altrettanto seria: il declino (già iniziato in questi mesi) del modello italiano tradizionale, quello nel quale gli istituti cooperano con il governo investendo in dosi sempre più massicce di titoli del debito pubblico. A partire dal prossimo anno, sempre di più il Tesoro dovrà trovare compratori diversi per i suoi Btp, Cct o Ctz e le altre obbligazioni dello Stato.
Sono bastate poche settimane della nuova vigilanza europea per capire che quasi tutto è tornato in discussione, più di quanto gli stessi manager del credito si aspettassero. Mercoledì scorso nella sede dell’Associazione bancaria italiana si è svolto un incontro fra alcuni dei principali banchieri, durante il quale le tensioni sono rapidamente venute a galla. Erano presenti, fra gli altri, l’amministratore delegato del Banco Popolare Pier Francesco Saviotti, il presidente di Mps Alessandro Profumo, il direttore operativo di Intesa Sanpaolo Eliano Lodesani e il direttore generale di Unicredit Roberto Nicastro. Non c’erano invece manager di Mediobanca, che non esprime rappresentanti nel comitato esecutivo dell’Abi, anche se proprio l’istituto di Piazzetta Cuccia rischia di finire sotto pressione più di altri con la nuova vigilanza di Francoforte. Il suo caso sta diventando emblematico.
Senza che ciò emergesse in pubblico, Mediobanca ha rischiato la bocciatura durante gli stress test dei mesi scorsi. Quello scenario è stato scongiurato dopo una serie di scambi molto intensi fra Milano, Francoforte e Roma. Ma il nodo resta, perché riguarda la partecipazione di Piazzetta Cuccia in Generali. Quel 13,4% nel capitale del terzo assicuratore europeo vale oggi 3,4 miliardi di euro e rappresenta, da solo, il 58% dell’intera capitalizzazione di Borsa di Mediobanca stessa. È qui che gli stress test diventano un esercizio delicatissimo. Un ipotetico scenario di grave recessione simulato dalla Bce in cui viene meno gran parte del contributo della quota in Generali, può aprire nel bilancio di Mediobanca un ammanco di patrimonio ben oltre le soglie ammesse in Europa. Il livello del capitale dell’istituto guidato da Alberto Nagel – ancora uno snodo di ciò che resta del “salotto buono” – dipende da come si valuta la sua partecipazione nel Leone di Trieste. Fino ad oggi Mediobanca si è (legalmente) avvalsa di una sorta di eccezione discrezionale per non dover stimare quel pacchetto in maniera penalizzante. Ma gli esponenti della nuova vigilanza della Bce ora hanno iniziato a segnalare che dovranno venir meno via via – senza troppi rinvii – molte delle “eccezioni” usate dalle banche per mostrare condizioni migliori del patrimonio. In questo Mediobanca è tecnicamente considerata a Francoforte una delle “banche deboli “: quelle che rientrano nelle soglie di capitale richiesto in Europa solo grazie al ricorso ad alcune (legittime, per ora) eccezioni contabili. Ma nel 2015 gli stress test della Bce si ripeteranno, e così nel 2016. Piazzetta Cuccia rischia dunque di trovarsi di fronte alla richie- sta dell’Eurotower di ricapitalizzarsi.
Ma Mediobanca è solo un esempio, perché smantellare le cosiddette “discrezionalità” (le eccezioni contabili) può aprire buchi nel capitale di varie altre imprese del credito. Nel settore si stima che per le banche tedesche l’ammanco potenziale rischi di arrivare a 31 miliardi di euro, per le italiane a 16, per le francesi a 5 e in totale per l’area euro a 132. La Bce intende concedere il minor numero possibile di sconti, per assicurare la stabilità degli istituti che deve vigilare. Questi ultimi invece accusano l’Eurotower di provocare un nuovo credit crunch – anziché l’aumento del credito che servirebbe contro la deflazione – proprio con le sue richieste troppo pressanti di eliminare i rischi e di rafforzare i patrimoni. “Ci si aspetta dalla Bce che abbia successo subito o fallisca senza appello”, ha detto qualche giorno fa Ignazio Angeloni, l’italiano che siede nel comitato di vigilanza dell’Eurotower. Erik Nielsen, capoeconomista di Unicredit, la vede in modo opposto: “Se continua così – osserva – le banche dell’area euro finiranno per passare i prossimi anni a ridurre i bilanci, invece di tornare alla normale attività di prestare denaro”. Il timore di finire sotto pressione nel 2015 o 2016 può del resto creare una frenata sui prestiti fin da subito.
Il contraddittorio è emerso a Bruxelles otto giorni fa in un incontro fra Danièle Nouy, la francese che presiede il consiglio di vigilanza della Bce, e vari top manager europei. Nei dettagli è poi entrato anche Angeloni, un ex dirigente del Tesoro chiamato da Mario Draghi a Francoforte. Alcune “eccezioni” contabili da eliminare gradualmente rischiano di far emergere più crediti deteriorati – cioè debitori in difficoltà – nelle maggiori banche italiane, Intesa Sanpaolo, Unicredit e la stessa Mps (oggi in Italia sono già all’astronomica cifra di 330 miliardi di euro). Angeloni osserva anche che i titoli di Stato nei bilanci delle banche non possono più essere considerati senza rischio e dunque, in prospettiva, devono erodere una parte del capitale di base degli istituti. Significa che le banche sono di fatto scoraggiate dal caricarsi sempre più di Btp, come han fatto fin qui aiutando il Tesoro dalla crisi del debito. E il messaggio è arrivato: gli istituti italiani hanno in bilancio quasi 400 miliardi di bond del governo di Roma, una cifra record e senza paragoni in Europa. Ma quest’anno, per la prima volta, hanno iniziato a ridurre l’esposizione (di 8,6 miliardi).