Quando mi hanno chiamato dall’ambasciata irachena e mi hanno chiesto di fare un concerto ho detto subito di sì, senza pensarci tanto. E non è da me, che penso molto prima di fare una cosa, e che ho rifiutato altri concerti apparentemente più importanti di questo. Inutile dire che mi sono trovato contro mille persone. Sei pazzo, mi dicevano, vai cantare per il regime di Saddam Hussein. Non è così, ho sempre risposto; tutti coloro che erano con me sanno che se avessi visto in platea una divisa o un mitra non avrei cantato, se fosse arrivato Saddam Hussein mi sarei trovato in grave imbarazzo. Ma per fortuna non è venuto. E’ inutile ribadire che lo scopo principe della mia visita in Iraq era umanitario, perché non trovo giusto che un popolo debba soffrire per colpe non sue; ma è anche vero che credo sia giusto dare a tutti una possibilità di redenzione, perché molti assassini sono diventati santi. E ritengo sia stato altrettanto atroce l’uso spettacolare che gli americani hanno fatto della guerra del Golfo, quel costringerci a ritrovarci al mattino con i punteggi aggiornati, come fosse stato un incontro di boxe.
Se sto salvando un uomo che affoga non penso che un giorno potrà farmi del male. Lo salvo e basta. Io ho portato musica. La musica prescinde da tutto, riunisce sul serio la gente, la musica è un’ arte sublime, un importante momento di aggregazione. Di questo viaggio ricordo la commozione dei musicisti iracheni, che non hanno più nulla, e che hanno ricevuto spartiti, ance, corde per i violini. Ricordo quel pianoforte che abbiamo dovuto accordare a 440 invece che a 442 per paura che saltasse tutto. Non ci sono libri, non c’ è possibilità di continuare a studiare, e se la cultura, le notizie non arrivano è difficile che un regime si possa contrastare.
Chi ha mai saputo per esempio, durante la guerra, di un aereo di linea dell’Alitalia che all’ aeroporto di Beirut è stato affiancato da un aereo militare iracheno? Ne sono scesi soldati che hanno fatto uscire i passeggeri italiani e hanno picchiato e portato via trenta iracheni scappati clandestinamente dal paese. E come questo ci sono tanti altri episodi. Io non credo ai giornali, credo ai miei occhi; dovevo andare in Iraq per capire, per farmi un’ idea, anche per questo ho accettato. Perché ho cantato proprio L’ ombra della luce in arabo? Perché volevo che tutti capissero la mia idea, perché è la canzone che sento di più, perché è una preghiera.
Franco Battiato