BARENBOIM SCHUBERT.

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Per oltre cent’anni, a partire dalla morte che lo colse appena 31enne nel 1828, Franz Schubert è stato celebrato come l’autore dei più bei Lieder mai scritti, di alcune Sinfonie (su tutte l’ Incompiuta ), di alcuni pezzi di musica sacra e da camera. La sua musica per pianoforte, invece, interpreti e pubblico l’hanno consumata quasi soltanto limitatamente ai piccoli pezzi, come quelli contenuti nelle deliziose raccolte di Improvvisi e Momenti musicali .
Si deve al pianista Arthur Schnabel, tuttavia, se a partire dagli anni Trenta iniziò un percorso di riscoperta dei pezzi di più ampio respiro che Schubert destinò al pianoforte, le Sonate, quello scrigno di 23 tesori (11 completi più 12 incompleti o rimasti allo stato di frammento) che i lettori del Corriere potranno ascoltare acquistando i cinque cd in uscita con il quotidiano, uno per settimana, a partire da oggi, al prezzo di 9,99 euro più il costo del quotidiano.
Si tratta delle recentissime incisioni che Daniel Barenboim ha effettuato nel 2014 (limitatamente alle Sonate complete) man mano che andava eseguendo tal repertorio alla Scala, a Berlino e, proprio in questi giorni, a Londra. Per congedarsi dalla Scala, infatti, il Barenboim direttore d’opera scelse Fidelio di Beethoven, il Barenboim direttore sinfonico la Nona di Mahler, mentre il Barenboim pianista eseguì proprio questi undici capolavori, dimostrandosi l’ultimo, ma solo in ordine cronologico, tra i pianisti — in primis appunto Schnabel, seguito da Kempff, Richter, Lupu, Brendel, Schiff e diversi altri — che hanno contribuito a rivelare l’immenso valore di questa meravigliosa porzione della letteratura pianistica, tra le più ispirate di ogni tempo e luogo.
Ma perché un oblio durato così a lungo? Ritiene il maestro argentino che la curiosa circostanza sia da addebitare in primo luogo all’accidentato percorso che le Sonate ebbero in sede editoriale; secondariamente, all’affermarsi del luogo comune che fossero epigonali rispetto alle 32 Sonate di Beethoven che, composte in quegli stessi anni, sono considerate il «Nuovo Testamento della musica» (laddove l’«Antico» consiste nei due libri del Clavicembalo ben temperato di Bach). Ma il paragone non ha ragion d’essere. Precisa infatti Barenboim, come si è letto nel programma di sala della Scala: «Se Mozart è fluido, semplice, naturale, se Beethoven è drammatico e profondo, Schubert è elusivo, vago, sfuggente, persino insinuante, e in questo consiste la sua “attualità”, perché al di là di una facciata tutto sommato positiva, proprio attraverso i suoi procedimenti che portano così lontano dalle premesse ci fa intravedere un mondo di solitudine: una solitudine che porta alla disperazione come nel secondo tempo della Sonata in la maggiore ».
Oltre a tale tipo di attualità, ce n’è un altro che è contemporaneo, in quanto «questa musica piange e ride, è triste e felice allo stesso tempo. Tutto ciò che gli esseri umani sono incapaci di esprimere senza la musica è contenuto in queste Sonate. Naturalmente, ogni pezzo di musica produce questo effetto, ma ciò è particolarmente vero nel caso delle Sonate di Schubert». Un altro aspetto di esse che non va sottovalutato è quello strettamente linguistico, perché la qualità della scrittura melodica e armonica è eccezionale, nella sua imprevedibilità.
«Non va dimenticato — aggiunge il pianista — che Schubert visse solo 31 anni e che le Sonate per pianoforte le compose in un arco di tempo di appena tredici anni, lungo i quali lo sviluppo del suo pensiero fu così profondo che viene da pensare che se fosse vissuto un po’ più a lungo, sarebbe ricordato come uno dei musicisti più rivoluzionari della storia. E che probabilmente né Bruckner né Mahler avrebbero avuto l’importanza che hanno oggi».
Sul come si eseguono, Barenboim spiega: «Schubert non era solo intuizione né solo razionalità, le due cose coabitavano in armonia, ma se il grande creatore può permettersi il lusso di “non pensare”, l’interprete deve tenere conto di tutti gli aspetti formali e poi riportare il messaggio al livello intuitivo originale. Dopo aver analizzato ed elaborato tutto, il vero interprete deve cioè fare ancora un passo avanti e approdare a uno stato di innocenza, di “ingenuità cosciente”, simile a quello provato dal musicista nell’atto della creazione».
Ricorda Barenboim che ancora negli anni Trenta era possibile che un compositore noto e pianista d’eccezione come Sergej Rachmaninov ignorasse persino l’esistenza di questi capolavori. Oggi però, grazie al lavoro dei musicologi e all’arte di alcuni interpreti, è unanimemente riconosciuto come un inalienabile patrimonio dell’umanità.
Enrico Girardi