l ricordo Oggi in Palazzo Vecchio giornata di studi in memoria del prete nato 100 anni fa che fondò «Testimonianze»: era considerato un prete scomodo, si definiva un uomo del Sud del mondo
Saverio Saccardi *
Balducci, il Vangelo della pace
Oggi è una giornata che Firenze dedica al ricordo e all’attualità della lezione di Ernesto Balducci. Che era elettivamente fiorentino e ha contribuito ad animare la vita culturale di questa città-simbolo (sede dei convegni internazionali di Giorgio La Pira e di un cattolicesimo democratico formatosi alla scuola del card. Elia Dalla Costa). Ma era anche «fiesolano» e alla Badia Fiesolana (dove fu inviato, nel 1964, di ritorno dagli anni dell’«esilio romano», che gli era stato comminato come «prete scomodo») ha, fino all’ultimo, vissuto e predicato.
In lui viveva la memoria della terra delle sue origini, la «montagna incantata» dell’Amiata. Adesso, riposa nel cimitero della sua Santa Fiora a due passi dall’ottocentesco «Cristo dell’Amiata», David Lazzaretti (che difendeva i diseredati e fu ucciso dalla fucilata di un regio carabiniere) e accanto ai «martiri di Niccioleta», minatori fucilati dai nazisti in ritirata. Ho inciso nella mente il ricordo del giorno in cui, dopo il tragico incidente che gli costò la vita, a Santa Fiora lo accompagnammo per l’ultimo viaggio. Una stupenda giornata di sole, a Primavera inoltrata (se ne era andato, per singolare coincidenza, nella data del 25 aprile), con le siepi e gli alberi in fiore. Una sorta di festa della natura che (vista con gli occhi del cuore) sembrava quasi allestita apposta per accoglierlo. Era stato, il suo, una specie di funerale «itinerante». Con un primo momento alla Badia Fiesolana, dove una folla di persone, ancora incredule, aveva ascoltato la struggente musica di commiato dei flauti andini. Una folla numerosa come quella che era accorsa, qualche tempo prima, alla Chiesa di Badia, la prima domenica dopo l’inizio della Guerra del Golfo. Credenti e non credenti venuti per sentire la sua omelia. In cui, naturalmente, Balducci non parlava di politica. Ma annunciava il Vangelo della pace. Diceva parole ispirate contro la logica inesorabile dei conflitti armati. Richiamava al rispetto dei diritti umani. Chi lo ascoltava cercava un punto di riferimento. E questo egli sapeva essere, spesso anche per chi non condivideva le sue posizioni. Un punto di riferimento. Qualcosa di cui, oggi, sentiamo talora la mancanza.
La seconda, significativa, «tappa» del suo ultimo viaggio (prima di quella, finale, di Santa Fiora) fu solenne. In Duomo, a Firenze. Dove la cerimonia fu fortemente voluta dal cardinale Silvano Piovanelli. Che parlò del percorso significativo di questo pastore e figlio della Chiesa, che a essa aveva dato un grande contributo, pur operando, così disse il cardinale, «sul fronte del cosiddetto dissenso cattolico» e «in partibus infidelium». Qualcuno fraintese queste parole. Le scambiò per una critica. In realtà rappresentavano un omaggio che Piovanelli, anche con il crisma dell’ufficialità, gli rendeva (pur registrando le differenze) a nome della comunità ecclesiale (e, verrebbe da dire, della città intera) di Firenze.
È stato un grande cittadino di Firenze e della Toscana, Ernesto Balducci, ma è stato anche, idealmente e culturalmente, un «cittadino del mondo». Il suo libro-simbolo ha per titolo L’uomo planetario . Un libro, scritto più di trenta anni fa, che dava voce a un pensiero anticipatore (e al pensiero anticipatore di Ernesto Balducci sarà dedicato un volume speciale di Testimonianze ). La dimensione dell’«uomo planetario», che vive nell’età dell’interdipendenza fra i popoli e le culture, non rimanda a una prospettiva di indistinta omologazione. Postula un nuovo rapporto fra identità e alterità. Aprirsi all’ altro (come Balducci invitava a fare) non implica disconoscere la propria storia e identità. Lo stesso percorso, spirituale e politico-culturale, di Balducci ne dà, in qualche modo, un’attestazione. Di se stesso diceva: «Idealmente sono un uomo del Sud del mondo». Amava, con tenero affetto, il nipote adottivo, indo-americano, con cui è ritratto in una luminosa e sorridente foto. In nome della pari dignità delle culture, criticava l’«eurocentrismo». Ma il suo pensiero, che è pensiero aperto della complessità, non è riconducibile a un’impostazione schematicamente antioccidentale. La sua formazione e la sua elaborazione intellettuale si avvalgono, anche, di infiniti apporti derivanti dalla migliore cultura critica dell’Occidente. Non amava, certamente, l’Europa storicamente segnata dalla cultura della dominazione e dal disconoscimento dell’altro. «Ma c’è un’Europa che noi amiamo», ebbe a dire in occasione di una grande manifestazione (una delle ultime a cui ha partecipato), nel 1992, all’ Arena di Verona. È l’Europa che ha prodotto i diritti umani. Che hanno valore universale e (posti in rapporto con la diversità delle culture) rappresentano un patrimonio a disposizione dell’umanità intera. La lunga marcia dei diritti umani è il titolo di uno dei suoi ultimi scritti. Balducci era un «uomo di pace». Per questo lo ricordiamo. Nell’era atomica e con le nuove armi di distruzione di massa, la guerra «è definitivamente uscita dalla sfera della razionalità, se mai vi è appartenuta». Con lui abbiamo condiviso la coinvolgente stagione dei Convegni degli anni 80. Un altro contesto, si dirà, un’altra epoca. Ma molti temi, allora individuati, sono ancora oggi sul tappeto. Come quello relativo alla natura stessa della pace. Che, per avere solidi fondamenti (come è stato sottolineato anche in un recente appello-documento della Fondazione Balducci e di Testimonianze ), deve essere pace nella giustizia. Una sottolineatura da ribadire. Le iniziative dedicate alla memoria di Ernesto Balducci (che era uomo attento a leggere i segni, buoni e cattivi, dei tempi) sono un’occasione per portare avanti la riflessione critica e per ribadire, in un’epoca cupa e carica di sofferenze, l’importanza della connessione fra pace, libertà e diritti umani che vanno, insieme, difesi e tutelati se non si vuole che, in prospettiva, siano congiuntamente calpestati e travolti.
* Direttore
di Testimonianze,
la rivista fondata
da Ernesto Balducci.