Dopo averlo rivoltato come un calzino, finalmente la Banca centrale europea ha dato al Montepaschi l’ok all’aumento di capitale da 3 miliardi. Dal 25 maggio al mercato sarà chiesta una quantità di denaro pari all’attuale valore di Borsa dell’istituto senese. Mancano ora solo il via libera di Consob e il prezzo, che sarà fissato giovedì dal consiglio della banca.
Dovrebbe essere l’ultima volta che si chiedono soldi ai soci. La ricapitalizzazione servirà a rimborsare il miliardo residuo di aiuti di Stato e per rendere più robuste le spalle di Rocca Salimbeni. Non sarà comunque l’uscita dal tunnel. La Bce ha imposto altri due pesanti interventi: una gestione più incisiva dei crediti deteriorati e, soprattutto, il matrimonio con un’altra banca. Perché nonostante tre anni di ristrutturazione, secondo Francoforte Mps ha difficoltà a stare in piedi.
Eppure passi avanti ne sono stati fatti. Praticamente tutti i crediti in default sono stati ispezionati e la loro copertura è tra i livelli più alti del mercato. I costi sono stati tagliati di 800 milioni. Dopo tre anni di perdite il primo trimestre 2015 si è chiuso con un utile di 72,6 milioni grazie al business bancario, segno che la macchina ha ripreso a girare. L’istituto guidato da Fabrizio Viola si è poi impegnato a chiudere ulteriori 350 filiali e a vendere 5,5 miliardi di crediti deteriorati, tutto per arrivare a 800 milioni di utile nel 2018.
Sui conti pesa comunque ancora l’incognita Alexandria, il derivato con la banca giapponese Nomura che incide per 4,7 miliardi, praticamente metà del patrimonio di Mps. Un’enormità. Per questo la Bce ha imposto a Siena di chiuderlo entro il 26 giugno. Ma la banca da un lato sta cercando di ottenere da Francoforte un rinvio o una contabilizzazione meno penalizzante del contratto; dall’altro tratta con i giapponesi per una transazione.
È questo il Montepaschi che le banche del consorzio guidato da Ubs, Citi, Goldman Sachs e Mediobanca presenteranno nei prossimi giorni al mercato: «Una banca uscita dai momenti bui, con problemi seri ma identificati e che è stata posta su un percorso di sviluppo», spiega uno dei protagonisti.
Rispetto a quella da 5 miliardi di un anno fa usato per rimborsare 3 miliardi di Monti bond, la ricapitalizzazione dovrebbe risultare meno diluitiva per gli azionisti. Bisognerà vedere chi sottoscriverà. Il nocciolo duro di soci è composto oggi dai fondi esteri Fintech (4,5%) e Btg Pactual (2%), dalla francese Axa (3,7%) e dall’imprenditore Alessandro Falciai (1,7%), che seguiranno l’aumento. La Fondazione Mps deve ancora decidere se impegnare altri 75 milioni per mantenere il suo 2,5% o ridursi a un livello di mera testimonianza. Il resto dovrà venire dal mercato.
Ma la fine dell’aumento non spegnerà i riflettori su Siena. Subito dopo ci sarà da affrontare la scelta del nuovo presidente, visto che Alessandro Profumo ha già annunciato le dimissioni. Per trovare il suo sostituto ci sarebbe già al lavoro un cacciatore di teste. C’è già un identikit: un esperto di banca e che abbia rapporti con la Bce, con la quale in questi mesi ci sono state incomprensioni.
Tra i soci c’è però chi vorrebbe trattenere Profumo, sia perché il suo lavoro è stato apprezzato, sia perché una prorogatio renderebbe meno complesso l’incastro di poltrone nella futura aggregazione. Prima però bisogna individuare con chi fondersi. Il soggetto più indicato — perché patrimonialmente robusto — sarebbe Ubi Banca. Ma a Brescia, una volta diventati spa, vogliono un’operazione che crei valore. Le alternative guardano all’estero o a una banca italiana controllata da un gruppo estero, come Bnl-Bnp Paribas. Un approdo comunque andrà trovato. Lo vuole Francoforte.
Fabrizio Massaro