di Alessandra Muglia
Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte per blasfemia in Pakistan per aver bevuto da un bicchiere «sbagliato», è stata assolta e liberata. Esulta il suo legale, che ringrazia per il «sostegno internazionale», mentre si scatenano le proteste degli islamisti radicali. Asia, in cella di isolamento 8 anni per avere «insultato il profeta Maometto», potrà tornare dai cinque figli.
«Davvero posso uscire? Mi lasceranno andare via?». Era da 3.420 giorni che aspettava questa notizia Asia Bibi. Nove lunghissimi anni passati in carcere in Pakistan per aver bevuto nel bicchiere sbagliato. E quando ieri mattina la notizia tanto attesa è arrivata, al telefono, da uno dei suoi avvocati, quasi non ci credeva.
Asia Bibi l’ha spuntata. Arrestata nel 2009, condannata a morte nel 2010 per aver offeso Maometto e l’Islam, è stata assolta dalla Corte suprema che nel 2015 aveva accolto il ricorso e accettato di riesaminare il caso. «La pena di morte viene annullata. Asia Bibi è assolta», ha dichiarato il presidente della Corte Suprema: le testimonianze che l’accusavo sono risultate contraddittorie.
Un verdetto definito storico, pronunciato in una sala blindata del tribunale di Islamabad, con la polizia in tenuta anti sommossa. Un verdetto che ha scatenato forti reazioni dentro e fuori il Pakistan. Perché questa giovane cristiana, madre di cinque figli, prima donna cristiana in Pakistan condannata all’impiccagione per «blasfemia», è diventata un simbolo delle persecuzioni delle minoranze in un Paese dove l’Islam è religione di Stato.
Un simbolo da difendere per i difensori dei diritti umani, da abbattere per gli estremisti islamici. Il loro partito, Tlp (Tehreek-Labbaik Pakistan), fiancheggiato da altri partiti di ispirazione islamica, è sul piede di guerra. Nelle scorse settimane aveva minacciato «gravi conseguenze» se Asia fosse stata assolta. In passato le persone che si sono espresse a favore della sua scarcerazione come il governatore del Punjab, Salman Taseer, o il ministro per gli Affari delle minoranze, Shahbaz Bhatti, sono state uccise.
Ieri mattina per precauzione la capitale si è svegliata sotto rigide misure di sicurezza, con alcune scuole chiuse e posti di blocco vicino ai quartieri dove vivono magistrati e diplomatici. Dopo il verdetto la tensione è salita alle stelle. Un fiume di persone si è riversata nelle strade delle principali città pachistane, da Lahore a Karachi, aizzate dagli imam nelle moschee, e da Khadim Rizvi, leader del partito Tlp, che la notte precedente aveva esortato i seguaci a reagire in caso di assoluzione. Ieri il religioso Afzal Qadri in un comizio a Lahore è andato oltre e ha lanciato una fatwa: i giudici che hanno scagionato Asia Bibi meritano di morire secondo la legge islamica, ha tuonato, invitando pure gli ufficiali di polizia alla rivolta contro il capo delle forze armate. Parole che hanno fatto infuriare il premier pachistano Imran Khan: «Non sfidate lo Stato» e «non costringete lo Stato a compiere azioni estreme» ha ammonito l’ex campione mondiale di cricket dallo scorso agosto alla guida del Paese in un discorso alla nazione trasmesso in diretta tv. Un clima da guerra civile. L’allerta per possibili attentati ha indotto la provincia di Karachi e il Punjab a imporre fino al 10 novembre la Section 144, la norma che vieta a più di quattro persone di dar vita ad ogni forma di assembramento pubblico e limita il diritto di protesta.
«Ora finalmente la nostra famiglia si riunirà — ha reagito il marito di Asia, Ashiq Masih, contattato dalla ong Aiuto alla Chiesa che Soffre — anche se purtroppo dubito che potremo rimanere in Pakistan».