Come si può vedere, dalla nota qui sotto riportata, non esiste un’arte postmoderna, esiste viceversa un periodo storico che prende il nome di postmoderno, del resto già superato dall’ipermoderno. Il postmoderno si caratterizza per la dimensione spazio temporale dell’istante, niente passato, poco futuro. l’ipermoderno per il digitale e la comunicazione, la parola il logos come pensiero parola, la creatività. Se proprio si vuole forzando esiste solo il citazionismo per l’arte cosiddetta postmoderna, altra cosa è l’architettura o la letteratura.
“Nel 1979 Jean-François Lyotard pubblica “La condizione postmoderna”. Un testo che, simbolicamente, segna l’inizio di una nuova epoca e battezza gli anni Ottanta. Tra crisi del petrolio e grandi incertezze politico-economiche, esplose dopo il boom dei decenni precedenti, la postmodernità si configura come uno spazio della fragilità e insieme della ricchezza, dello scambio e del meltin’pot, della crisi di identità e del saccheggio linguistico e culturale, dello spaesamento e della creatività accelerata. È il crollo definitivo delle ideologie: non c’è più una prospettiva unica, una visione solida, a orientare la lettura del mondo e delle cose. Per Lyotard è questa la fase in cui alle grandi narrazioni subentrano una molteplicità di piccoli racconti.
Tra gli interventi di Angele Vettese, Francesco Masnata, Demetrio Paparoni e Pier Luigi Tazzi, si comincia atracciare un profilo di questo importante momento di passaggio, segnato dalla ricerca di grandi artisti internazionali.
Tra le molte voci che convivono nel grande mash up postmoderno, una pare essere preponderante, in Europa e in America: se fin qui concettualismo e minimalismo avevano dettato legge, tanto che da gallerie e musei erano bandite – quasi con un rigore ideologico – emozionalità, narratività, visceralità, adesso l’incantesimo si spezza, improvvisamente: è il ritorno del colore, della pittura, del racconto, dell’emotività, della tradizione, della spontaneità e della manualità”.