Scandito dalle uscite in ordine cronologico di sette titoli, un ideale percorso lungo il 1960 può partire subito dall’alto, da quell’opera ritenuta fra i simboli italiani nel mondo, La dolce vita di Federico Fellini. Palma d’oro a Cannes, uscito il 3 febbraio con immediato successo di pubblico (ad oggi resta al 6° posto nella classifica dei film nazionali più visti di sempre al cinema) e prevedibili divisioni per la critica dell’epoca, è il classico esempio di cinema espanso a fenomenologia, simbolo e sintomo di uno zeitgeist di un artista figlio del suo tempo ma che quel tempo ha anche contribuito a definirlo. Impossibile giustificare sintesi su La dolce vita così come su Fellini, al suo centenario in corso, meglio fissarne l’iconografia e la musica (di Nino Rota) assolute, con Flaiano, Pinelli, Rondi e lo stesso regista in sceneggiatura e con due nomi – Marcello Mastroianni interprete e Pier Paolo Pasolini in scrittura ma non accreditata – ad accompagnarci verso il titolo a seguire, Il bell’Antonio di Mauro Bolognini. È il grande intellettuale e poeta a siglare infatti la sceneggiatura del miglior film di Bolognini tratto dall’omonimo romanzo di Vitaliano Brancati. Uscito il 4 marzo, il melodramma sull’impotenza a più livelli mette in campo un dolente Marcello Mastroianni che si trovò a sfidare se stesso nella cinquina da protagonista ai David di Donatello, vincendo però per La dolce vita. L’opera infonde nel suo protagonista una profonda incapacità di comunicare e sembra dialogare con quello destinato a diventare uno dei manifesti dell’incomunicabilità nel cinema, L’avventura di Michelangelo Antonioni. Dotato di uno dei finali geometricamente più essenziali e perfetti della Storia del cinema, il film Prix du Jury a Cannes e primo capitolo della “trilogia esistenziale” del cineasta ferrarese uscì il 29 giugno e aprì la folgorante carriera di una giovane Monica Vitti dentro a un ruolo divenuto paradigmatico della complessità femminile. E concentrato su una donna è anche Kapò di Gillo Pontecorvo, nelle sale il 29 settembre, e candidato all’Oscar come film straniero nel ’61. Pellicola controversa, non memorabile, ma rigorosa nel suo descrivere la tragica parabola di una giovane ebrea deportata in un lager, segnò il filone “d’annata” dei drammi ambientati durante la Seconda guerra mondiale accanto alla commedia amara Tutti a casa di Luigi Comencini uscita il 27 ottobre, e al noto La ciociara di Vittorio De Sica nelle sale il 22 dicembre. Sostenuta da una sceneggiatura di ferro (Age & Scarpelli con Comencini e Fondato), la pellicola di Comencini metteva in scena un magnifico Alberto Sordi dentro a un personaggio paradossale eppure così credibile, mentre quella di De Sica sceneggiata da Zavattini sul romanzo di Moravia, portava Sophia Loren nell’olimpo degli dei: per lei Oscar da attrice protagonista e Prix d’interprétation féminine a Cannes. Ma il 1960 non sarebbe stato totalmente mirabilis senza uno dei capolavori (forse “il” capolavoro) di Luchino Visconti, quel Rocco e i suoi fratelli che vide il buio delle sale il 6 ottobre sortendo il terzo maggiore incasso d’annata dopo il Gran premio della giuria alla Mostra veneziana. La tragedia classica ed eterna, colta ma popolare, dei fratelli lucani migranti a Milano dalle mille ispirazioni riesce ancora oggi a destarci la coscienza inondandoci lo sguardo di immutata bellezza.