“Chi di migrazione ferisce, di migrazione perisce”. Sembra essere questo l’adagio che caratterizza gli sviluppi della politica interna tedesca degli ultimi mesi, da quando cioè si è riaperta la frattura che aveva visti contrapposti i partiti dell’Unione – CDU e CSU – sulla questione della gestione della crisi delle migrazioni. Che il partito bavarese avesse accolto con estremo e dichiarato sfavore le decisioni della cancelliera Merkel del settembre 2015 circa l’ingresso in Germania di più di un milione di richiedenti asilo al motto del famoso “Wir schaffen das”, è cosa nota. Così come è noto che la CSU ha attribuito alla politica migratoria tedesca la responsabilità della cocente sconfitta elettorale nel Land bavarese alle elezioni del settembre del 2017, nelle quali a un +8,3% registrato dal partito populista di destra della AfD (Alternative für Deutschland) è corrisposto un -9,8% della CSU. Il complesso processo di formazione del nuovo governo di Grande coalizione tra i partiti dell’Unione e la SPD ha riaperto clamorosamente il fronte delle ostilità tra la cancelliera (CDU) e il ministro dell’interno Horst Seehofer (CSU). La prima contrapposizione a livello istituzionale tra i due dopo la nascita del nuovo governo si era registrata con le dichiarazioni di quest’ultimo sull’incompatibilità dell’islam con la Germania. La pronta reazione di Angela Merkel aveva temporaneamente tamponato gli echi delle polemiche, successivamente risuonati con rinnovato fragore di fronte allo “scandalo dell’asilo” emerso nel mese di maggio 2018.
Al centro dello scandalo è finito l’ufficio di Brema del BAMF (Bundesamt für Migration und Flüchtlinge, (l’ufficio federale tedesco per migranti e rifugiati), accusato di avere approvato in maniera impropria più di mille richieste di asilo tra il 2013 e il 2016. La verifica dell’esistenza di percentuali di accoglimento delle richieste di asilo in misura sproporzionale in termini positivi rispetto alla media degli uffici del BAMF di altri Länder ha contribuito a suffragare i sospetti di mala gestione dei procedimenti. Dal 2015 il BAMF, che gestisce le pratiche relative alle richieste di asilo, è al centro dell’attenzione pubblica e politica. Il sovraccarico delle pratiche registrato con la crisi dei rifugiati dal 2015 in poi ha spinto all’introduzione di misure di snellimento delle procedure di decisione, successivamente giudicate inefficaci da una parte o lesive dei diritti dei richiedenti dall’altra. Lo scandalo che ha investito la sezione di Brema ha però gettato un’ombra più cupa sul funzionamento del BAMF, andando oltre la cattiva gestione e chiamando in causa possibili atti di corruzione nello svolgimento degli accertamenti necessari alla concessione dei titoli di asilo o di protezione internazionale.
L’occasione non poteva essere più propizia per la AfD, che ha immediatamente richiesto che sul caso si aprisse un’indagine parlamentare. Dal canto suo, Seehofer ha assunto un atteggiamento rigorista in linea con la sua critica alla politica migratoria della cancelliera, annunciando la revisione di tutte le decisioni assunte dall’ufficio di Brema e l’apertura di una verifica a campione sui casi esaminati dal BAMF. A soffiare sul fuoco sono state poi successive indagini di Der Spiegel. Secondo il settimanale, alcuni casi sospetti trattati dall’ufficio di Brema erano stati portati a conoscenza della presidentessa del BAMF, Jutta Cordt, già nel mese di febbraio del 2017, ma sui fatti si sarebbe taciuto fino a dopo lo svolgimento delle elezioni federali del mese di settembre dello stesso anno.
La contrapposizione tra i due partiti segna dunque il difficile avvio della Grande coalizione, l’indebolimento della leadership della cancelliera e una inedita incertezza nell’identificazione dell’asse trainante dell’UE. In attesa del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno, le tensioni si sono fatte più aspre e si sono concentrate nella fase di preparazione al summit di Bruxelles sull’immigrazione. La presentazione, da parte di Seehofer, del cosiddetto master plan sull’immigrazione, che prevede il respingimento alle frontiere tedesche di migranti già registrati in altri Paesi dell’Unione Europea o già espulsi dalla Germania è stato respinto dalla cancelliera, alla ricerca di una soluzione quanto più condivisa a livello europeo. In questo clima estremamente teso, le fila si sono serrate dall’una e dall’altra parte. In ambito CDU, l’ex ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble ha messo in guardia Horst Seehofer sulle conseguenze delle minacce di quest’ultimo di mettere in atto unilateralmente l’espulsione dalla Germania dei migranti registrati in altro Paese europeo. Se dovesse proseguire in questo intento, avverte Schäuble, la cancelliera potrebbe ricorrere alle dimissioni forzate del ministro dell’Interno. A prendere le parti di Seehofer, è intervenuto il governatore bavarese Markus Söder, fresco di incontro bilaterale con il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, con il quale ha condiviso la critica alla politica migratoria della cancelliera Merkel. Se la sponsorizzazione della linea CSU da parte del cancelliere austriaco non desta alcuna sorpresa, considerata la natura della coalizione che sostiene il governo (il Partito popolare austriaco, ÖVP, e il Partito della libertà austriaco, FPÖ) e le posizioni in ambito migratorio espresse anche prima delle elezioni legislative del 2017 che hanno sancito la nascita del nuovo esecutivo, emerge dalle parole di Kurz una retorica rigorista che interpreta in maniera positiva la contrapposizione tra CDU e CSU. Questa sarebbe certamente una prova della mancanza di sintonia tra i partiti dell’Unione, ma rappresenterebbe allo stesso tempo una delle poche modalità per imporre un nuovo passo sulle questioni migratorie all’interno dell’Unione Europea.
Lo stratagemma retorico non sembra una grande novità, considerata la “gara” delle ultime settimane a segnalare l’urgenza – con mezzi e decisioni di carattere e tenore diverso da Paese a Paese – di affrontare in ottica comunitaria il tema delle migrazioni e dei richiedenti asilo. A non emergere da questa dichiarazione sono invece i rischi reali di sopravvivenza della Grande coalizione. La SPD, tenuta per settimane a margine della contrapposizione, ha reagito con le dure parole della segretaria Andrea Nahles pronunciate in occasione del congresso del partito in Renania Settentrionale-Vestfalia, con le quali ha definito Seehofer un «pericolo per l’Europa». Si prevedono scintille in occasione della prossima seduta del comitato di coalizione, riunito in seduta straordinaria proprio oggi a Berlino. L’opposizione intanto denuncia gli scarsi risultati dei primi cento giorni di governo della GroKo, e c’è chi già si interroga sugli effetti di una eventuale crisi di governo in caso di mancata soluzione della contrapposizione tra CDU e CSU. Il partito bavarese è già in clima di precampagna per le elezioni regionali che si terranno a ottobre in Baviera. Seehofer, intenzionato a recuperare terreno sulla AfD, tiene dritta la barra del suo master plan sull’immigrazione, nel caso in cui dai vertici europei della fine del mese non dovessero emergere soluzioni condivise. I segnali per l’Unione – non solo tra CDU e CSU – non sembrano incoraggianti.