di Pierluigi Piccini
Non credo di essere il solo. La domanda che mi viene rivolta più spesso da qualche tempo: “Ma cosa hai? Che ti succede?” E sistematicamente rispondo: “Nulla di particolare”, ma evidentemente non è così. Mai come ora sento addosso il pericolo, la precarietà, la paura. Mi è tornata prepotentemente alla ribalta la morte, mia amica indiscreta di sempre. E non importa se a farmela rivive sia un virus, una guerra o il pericolo del ricorso al nucleare. Non importa se i governi che usano la paura siano democratici o dittatoriali: lei è la. Paura che non risparmia nessuno, né i bambini vaccinati, né quelli da vaccinare, gli adulti o gli anziani i civili più o meno vaccinati, i militari di qualsiasi fronte. La paura, l’arma capace di vincere la complessità, di rinchiudere l’esistenza nell’io. E ritornano alla mente le letture giovanili: la coscienza che risveglia il proprio essere per l’unica certezza, imprescindibile. Quell’essere gettato nell’inautenticità della tecnica la vera padrona del mondo, nella scienza sempre più indirizzata al fattore economico al servizio degli apparati finanziari, la tecnica orribile della distruzione di massa. E la speranza? Bella domanda! La speranza (Hoffnung, E. Bloch) ha perduto la strada, si è rimpicciolita, e il pensiero religioso ne ha perso le tracce. Quest’ultimo deve fare sempre più i conti con la salvezza dei corpi, questi corpi gettati, nel presente, lontani da ciò che ha rappresentato nel tempo passato l’escatologia teologica della salvezza. Messe a confronto, le dichiarazioni di Papa Francesco e del patriarca di Mosca e di tutte le Russie non sono poi tanto lontane e non possono esserlo. L’assenza del “non essere ancora” per un fine (San Tommaso), capace di riscoprire dei principi basilari, dei valori primi, che permettano di inglobare il contemporaneo delle diverse scienze umane (Alasdair Macintyre). E su tutto ciò piccole resistenze, la smania di muoversi di riacquistare il tempo perduto, di cancellare ciò che è stato, ammesso che sia possibile, la felicità dei week-end. Fatti come siamo di impulsi, di desideri legati al momento come se fossimo nella ‘caverna magica’, immaginata da Lars von Trier. Rimane ancora un’ultima, timida speranza: che si possa, tutti insieme, dire basta, contrapporre la vita alla paura, la bellezza alla disperazione, riprendendo in mano il nostro destino. Ma le forze in campo sono così diseguali che dobbiamo essere aiutati dagli apparati, soprattutto quelli educativi, abbiamo bisogno di respirare speranza.
(13-continua)