di Ian Urbina
Intorno alle 17:00 del 4 febbraio, circa 70 miglia a nord della Libia, un aereo bianco da ricognizione con una telecamera montata sulla parte inferiore della fusoliera ha sorvolato un gommone che trasportava un centinaio di migranti disperati. Cercavano di attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Europa. Il video registrato dall’aereo è stato trasmesso in diretta a un ufficio di Varsavia in Polonia, sede del quartier generale di Frontex, l’agenzia dell’Unione europea per il pattugliamento delle frontiere.
Due ore più tardi, grazie a quelle immagini, una nave della Guardia costiera libica ha raggiunto i migranti e ha ordinato loro di fermarsi, nonostante fossero ben al di fuori delle acque libiche. I guardacoste, armati, hanno costretto i migranti a salire a bordo, li hanno picchiati selvaggiamente e li hanno riportati indietro nell’unico posto dove non volevano andare: i centri di detenzione della Libia.
Efficiente e brutale, il sistema che permette l’arresto in mare e la prigionia a terra di questi migranti è acclamato dai funzionari dell’Unione europea come uno dei frutti della collaborazione con la Libia, nel comune impegno per svolgere «operazioni di salvataggio a scopo umanitario» lungo la rotta del Mediterraneo. Per molti, però, il vero intento di questa campagna congiunta non è tanto salvare i migranti dall’annegamento, quanto impedire loro di raggiungere le coste europee.
Frontex nega di collaborare con la Libia
Da quando è emersa “l’emergenza immigrazione” nel 2015 e centinaia di migliaia di persone hanno attraversato il Mediterraneo, i funzionari europei si sono sempre più affidati ai libici per contenere il flusso degli sbarchi. Non solo l’Ue ha equipaggiato e addestrato la Guardia costiera libica, ma ha anche fatto pressione sull’organizzazione marittima delle Nazioni unite per fare in modo che riconoscesse una zona di ricerca e salvataggio (Search and rescue region, in inglese). In questo modo i libici possono intervenire anche più a largo delle loro acque territoriali. Il risultato di questa collaborazione è stato un calo precipitoso del numero dei migranti che raggiungono l’Europa: circa 20 mila migranti nei primi sette mesi di quest’anno, più di un milione in meno rispetto all’apice dei flussi nel 2015. Senza la ricognizione aerea di Frontex, la Guardia costiera libica cercherebbe i migranti a occhi chiusi in mezzo al mare.
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Frontex nega da tempo di cooperare direttamente con la Libia, uno Stato fallito gestito in gran parte da milizie. L’agenzia europea ha insistito che il suo unico scopo è quello di salvare vite in mare. Ha affermato che avvisa direttamente le autorità libiche riguardo le imbarcazioni di migranti solo se si tratta di una vera emergenza. Un portavoce di Frontex mi ha comunicato che «le convenzioni internazionali obbligano tutte le navi a fornire assistenza a coloro che si trovano in difficoltà […] [Frontex] non si è mai impegnata in nessuna cooperazione con le autorità libiche». Eppure numerose prove dimostrano il contrario.
Lo scorso anno, per esempio, Lighthouse Reports – piattaforma di giornalismo d’inchiesta europea (qui le serie con IrpiMedia #InvisibleWorkers e #EuArms, ndt) – ha documentato 20 casi in cui gli aerei di Frontex erano nelle vicinanze di imbarcazioni di migranti intercettati in seguito dalla guardia costiera libica. In una dozzina di questi, secondo Lighthouse Reports, è stata Frontex a identificare per prima i barconi. Per il diritto internazionale questo significa che Frontex era obbligata a notificare non solo la Guardia costiera libica, ma anche la nave più vicina – militari o mercantili – in modo che potesse intervenire per un salvataggio in caso di bisogno.
«Si può distinguere un modus operandi evidente – sostengono i giornalisti di Lighthouse Reports -. Prima vengono avvistate le imbarcazioni in difficoltà, poi ci sono scambi di comunicazioni tra diversi attori europei e la Guardia costiera libica. Non viene dato nessun avviso né alle navi commerciali che si trovano nei paraggi, né alle navi delle ong, nonostante possano essere le più vicine a imbarcazioni in difficoltà in mare aperto». I numeri reali possono essere molto più alti ma questi casi hanno già dimostrato che Frontex era presente e guardava mentre almeno 91 persone sono scomparse e si presume siano annegate».
«Il mio radar non funziona bene»
Lo stesso anno, il The Guardian in collaborazione con Lighthouse Reports, ha pubblicato le conversazioni tra un aereo della sorveglianza europeo e la Guardia costiera libica mentre quest’ultima cercava di intercettare due imbarcazioni di migranti. Un capitano della Guardia costiera libica si è rivolto così, via radio, al pilota dell’aereo: «Ok signore, il mio radar non funziona bene, non funziona bene, se rimane [sopra la barca] la seguo». Mentre cercava di guidare la Guardia costiera verso le imbarcazioni di migranti, quest’ultimo ha risposto: «Abbiamo circa cinque minuti di autonomia. Andremo sopra l’imbarcazione, il gommone e lo illumineremo con le nostre luci».
Al porto di Mitilene, città sull’isola di Lesbo (Grecia), dei funzionari di Frontex scortano i rifugiati arrivati da poco da altre isole greche su un traghetto con destinazione Turchia l’8 aprile 2016 – Foto: Etienne De Malglaive/Getty
Hussein Baoumi, ricercatore di Amnesty International Libia, ha affermato che non è sorpreso dalle continue negazioni di Frontex riguardo a una relazione formale con la guardia costiera libica: «Vogliono separarsi dagli aspetti più discutibili del contenimento di migranti – ha detto-. Non importa. Stanno cooperando. Sono complici diretti».
Le responsabilità europee
L’Ue ha negato anche l’esistenza di finanziamenti diretti ai campi di prigionia per i migranti in Libia, ammettendo però le loro condizioni disumane e chiedendo miglioramenti. Ma finora ha resistito agli appelli per porre fine al suo lavoro con la Libia e prendere provvedimenti per salvare chi si trova incarcerato nei centri di detenzione per migranti.
Ma se è vero che l’Ue non finanzia la costruzione di campi di detenzione o il loro personale, è altrettanto vero che i soldi europei vengono utilizzati per pagare praticamente tutto il resto del sistema disumano in cui i migranti sono regolarmente torturati, violati, detenuti illegalmente e a volte uccisi. Tramite i droni e gli aerei di Frontex, l’Ue è la prima responsabile dell’individuazione dei gommoni e, attraverso le autorità italiane e maltesi, della trasmissione di queste informazioni alla Libia. Successivamente, le barche acquistate dall’Ue e gestite dalla Guardia costiera libica catturano i migranti e li riportano sulla costa.
Un’inchiesta della testata giornalistica non-profit americana The Outlaw Ocean Project ha dimostrato che i fondi di Ue e Stati membri servono a finanziare, a volte passando per organizzazioni umanitarie, la maggior parte del sistema di detenzione dei migranti in Libia. La maggior parte di questi finanziamenti è in buona fede, persino nell’ottica di salvare la vita ai migranti. Ma non si può negare che l’Ue e i suoi Stati membri stia sostenendo finanziariamente il sistema il Libia con il quale migliaia di migranti vengono catturati e tenuti in condizioni orribili. E dato che Fortex è la punta della lancia, c’è maggiore attenzione sul suo ruolo e sulla legalità del suo intervento.
Politica Vs Frontex
Un rapporto del Parlamento europeo ha prodotto una lunga litania di accuse contro l’agenzia: avrebbe chiuso un occhio sulle violazioni dei diritti umani commesse dal personale della guardia costiera sia dei Paesi europei sia dei Paesi partner in Africa; avrebbe un sistema fallimentare per intervenire sulle denunce di cattiva condotta; il suo capo Fabrice Leggeri avrebbe mancato di agire per quattro anni nonostante le avvertenze da parte del responsabile per i diritti umani della sua stessa agenzia.
In un’intervista con The Outlaw Ocean Project di fine ottobre un alto funzionario di Frontex ha affermato che Leggeri si è impegnato per anni in una difesa di sè ipocrita, insistendo sul fatto che le «prove» di malagestione di Frontex siano state prodotte dall’Ue prima che lo stesso Leggeri potesse agire, il tutto senza riuscire a garantire che le denunce di questi potenziali abusi fossero indagate fino in fondo.
L’alto funzionario ha aggiunto che all’agenzia non erano più sicuri che Frontex stesse rispettando il suo obbligo più essenziale: assicurarsi che fossero rispettati i diritti delle persone più vulnerabili del mondo. Il funzionario ha affermato che in Europa rabbia e umori mutevoli sul tema dell’immigrazione hanno corroso l’indipendenza di Frontex dalla politica.
«L’influenza della politica è un problema quando si ha a che fare con diritti umani fondamentali – ha affermato il funzionario -. Anche se la sua partecipazione al rimpatrio dei migranti in Libia è indiretta, Frontex potrebbe violare la legge dell’Ue». «Non importava – ha ricordato la fonte interna a Frontex facendo riferimento alle reazioni di Leggeri e del suo entourage -. Non importava qualunque cosa dicessi loro. Non volevano capire». Leggeri ha rifiutato le ripetute richieste di intervista.
Dopo Mare Nostrum: otto anni di missioni di Frontex nel Mediterraneo
di Lorenzo Bagnoli
A dicembre, l’ong Human Rights at Sea ha pubblicato un rapporto curato insieme alla ricercatrice Farzaneh Shakerin intitolato Attraversare il Mediterraneo: ricerche ma non salvataggi. Riguarda tutto il bacino del Mediterrano, ma la rotta centrale, quella tra Libia e Italia per intendersi, è da otto anni la più pericolosa. Lo dimostrano i numeri: secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), tra il 2013 e il 2021 sono stati oltre 23 mila i migranti dispersi in mare nel tentativo di raggiungere l’Europa. Di questi, quasi otto su dieci sono scomparsi lungo la rotta del Mediterraneo centrale. È dentro questo contesto che si inseriscono tutte le decisioni politiche in merito all’impiego di Frontex e al pattugliamento dei confini europei.
«Dal 2014 – si legge in Attraversare il Mediterraneo: ricerche ma non salvataggi – l’Ue e i suoi Stati membri hanno perseguito la pratica di voltare le spalle ai migranti che attraversano il Mediterraneo diminuendo, limitando e allocando diversamente le forze navali ingaggiate nelle operazioni di ricerca e salvataggio». Questa prassi si è consolidata dopo Mare Nostrum, l’unica vera operazione umanitaria nel Mediterraneo condotta in solitaria dalla Marina Militare italiana, conclusasi a ottobre 2014 per la mancata volontà politica di rinnovarla. Da allora in avanti «Frontex si è fatta avanti per dare una mano all’Italia lanciando l’operazione congiunta Triton (novembre 2014- gennaio 2018). Al contrario di Mare Nostrum – continua il report -, che era concepito per condurre operazione di salvataggio, Triton aveva l’obiettivo di affrontare tratta e traffico di esseri umani, un mandato che ha motivato gli Stati membri dell’Ue e l’Ue a finanziare generosamente l’operazione». E quando nel 2015 gli arrivi sono aumentati, il direttore esecutivo di Frontex Fabrice Leggeri ha precisato che le operazioni di salvataggio «non rientrano nel mandato di Frontex e per quanto di mia comprensione nemmeno nel mandato dell’Unione europea».
Dopo Triton è stato il turno di Themis, una delle tre missioni di Frontex nel Mediterraneo ancora in corso. «L’aspetto interessante dell’operazione Themis è stata l’estensione del sistema di monitoraggio delle frontiere a Paesi esteri come Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto, in virtù del fatto che le loro acque erano ritenute aree interessate dai flussi migratori del Mediterraneo», prosegue il rapporto. L’obiettivo di Themis era prevenire che i migranti prendessero il mare, costringendoli a restare nei Paesi rivieraschi africani. Salvare le vite di chi prendeva il mare, però, non è stato mai un obiettivo: «Uno studio dimostra che dal 2015 al 2019, su 118.128 persone salvate nel Mediterraneo centrale, solo 40.747, ovvero il 34,49%, sono state salvate da Frontex», aggiunge il rapporto di Human Rights at Sea. Dal canto suo, il Consiglio europeo fornisce invece i numeri delle persone salvate da Frontex, prima con Triton e poi con Themis: oltre 284 mila dal 2016.
Il salvataggio in mare non è un atto umanitario, ricorda il report di Human Rights at Sea, bensì un obbligo previsto dalla convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare (Unclos), firmata nel 1982 in Jamaica. Quando nel settembre 2020 la Commissione europea ha introdotto il Nuovo patto sulla migrazione e l’asilo, un documento programmatico che indica le linee guida per i prossimi cinque anni in materia di immigrazione, ha mantenuto un atteggiamento ambiguo in merito ai salvataggi, nota Human Rights at Sea.
Da un lato, il Nuovo patto chiarisce che è responsabilità degli Stati membri occuparsene, definendolo quindi il pattugliamento come compito comunitario e la ricerca e il salvataggio come compiti nazionali. Dall’altro però il Nuovo Patto specifica che «Frontex dovrebbe fornire un maggiore supporto operativo e tecnico nell’ambito delle competenze dell’Ue, così come il dispiegamento di risorse marittime agli Stati membri, per migliorare le loro capacità e quindi contribuire a salvare vite umane in mare». «Il paradosso di non avere un mandato specifico, ma comunque di impegnarsi autonomamente nel fornire supporto nell’ambito delle competenze dell’Ue, mette in dubbio la sincerità dell’obbligo legale di salvare vite in mare», è la conclusione del rapporto Attraversare il Mediterraneo: ricerche ma non salvataggi.
Foto: Vite salvate nelle operazioni dell’Ue nel Mediterraneo (2015-2021) – Consiglio europeo
Le violazioni del 2021
Quest’anno davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea, la principale autorità giudiziaria dell’Ue, sono stati presentati diversi casi esemplari. Il primo è stato presentato a maggio e sostiene che Frontex abbia ignorato a lungo i suoi obblighi di segnalare e fermare gli abusi ai danni dei richiedenti asilo che cercano di raggiungere l’Europa. Si prende il caso di due migranti – un ragazzo congolese di 17 anni di nome Jeancy Kmbenga e una donna del Burundi che ha chiesto di rimanere anonima – che facevano parte di un gruppo di 13 che è stato fermato dalle autorità greche dopo essere arrivato a Lesbo. Dicono di essere stati trasferiti con la forza su una nave della Guardia costiera greca e riportati in mare prima di essere abbandonati su una scialuppa di salvataggio, finendo poi di nuovo in Turchia.
Le accuse del secondo caso, presentato a ottobre, sono probabilmente ancora più gravi per Frontex. Secondo il procedimento, una famiglia siriana con quattro bambini piccoli tra 1 e 7 anni sarebbe stata deportata dalla Grecia nel 2016 senza avere accesso a una procedura di asilo e sarebbe stata riportata in Turchia su un volo organizzato da Frontex, con i quattro bambini piccoli separati dai loro genitori senza che i funzionari dell’agenzia lo impedissero. La famiglia è stata trattenuta in Turchia e ora vive nel nord dell’Iraq. Questi due procedimenti hanno portato per la prima volta Frontex davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
«C’è un problema con la mancanza di trasparenza»
Human Rights Watch in un rapporto pubblicato la scorsa estate, ha pesantemente accusato l’agenzia di pattugliamento delle frontiere europee: «Frontex ha ripetutamente fallito nell’intraprendere azioni efficaci quando le accuse di violazione dei diritti umani sono state portate alla sua attenzione – ha detto Eva Cossé, ricercatrice di Human Rights Watch per l’Europa occidentale -. La sua rapida trasformazione in un’agenzia con maggiori poteri, finanziamenti e responsabilità legali rende ancora più urgente che Frontex metta in atto strumenti efficaci per salvaguardare i diritti fondamentali».
Costituita nel 2004, l’agenzia ha ora un budget di più di mezzo miliardo di euro e impiega più di 1.400 persone, compresi circa 600 agenti. Il suo consiglio di amministrazione è composto da rappresentanti dei 25 Stati membri dell’Ue e da due membri della Commissione europea. In teoria, esistono una serie di procedure attraverso cui verificare le responsabilità di Frontex, ma raramente è stata sottoposta a una vera sanzione. Ottenere informazioni minime dall’agenzia, anche per un membro del Parlamento europeo, è difficile: «Abbiamo davvero problemi con la mancanza di trasparenza», ha commentato Tineke Strik, europarlamentare olandese.
In un report sulla storia di Frontex, Human Rights Watch ha notato che secondo il suo stesso statuto, l’agenzia ha il potere di sospendere o porre a termine le operazioni delle polizie di frontiera dell’Ue che hanno commesso abusi contro i migranti. Eppure in tutta la sua storia, afferma Human Rights Watch, non è mai stato fatto.
Leggeri, il direttore esecutivo di Frontex, ha ricevuto numerose richieste di dimissioni nei mesi scorsi. Recentemente un gruppo di manifestanti si è riunito fuori dagli uffici di Frontex a Bruxelles chiedendo l’abolizione dell’agenzia. In una lettera al suo staff, Leggeri, che ha lavorato al dipartimento immigrazione del ministero dell’Interno francese, ha definito le proteste una «campagna di odio» e ha promesso azioni legali.
Il ponte di comando della nave di soccorso norvegese Peter Henry Von Koss durante una missione di pattugliamento a guida Frontex nell’area a nord di Lesbo (Grecia) il 29 febbraio 2016 – Foto: Etienne De Malglaive/Getty
A giugno, Human Rights Watch ha inviato agli alti funzionari dell’agenzia quelle che, a suo dire, erano le prove di una gravi scorrettezze commesse o ignorate da Frontex in tre Paesi europei. Deve ancora ricevere una risposta. L’ong ha accusato Frontex di usare l’interpretazione letterale dei propri regolamenti come cinico capo espiatorio per evitare di assumersi la responsabilità per gli abusi che avvengono sia nel Mediterraneo sia nel Mar Egeo.
«Nel corso degli anni, Frontex ha fatto affidamento sul suo ruolo di coordinamento e sulla mancanza di autorità esecutiva per eludere la responsabilità dei diritti umani – scrive Human Rights Watch -. Nel dicembre 2020 il direttore esecutivo di Frontex Fabrice Leggeri ha detto al Parlamento europeo che non c’erano prove del coinvolgimento di Frontex negli abusi ai danni dei migranti nell’Egeo e che solo gli Stati membri avevano l’autorità di prendere decisioni operative, implicando che Frontex non poteva essere ritenuta responsabile».
L’indagine interna
Frontex, sotto pressione, ha ordinato un’indagine interna sul modo in cui conduce le operazioni. I suoi stessi ispettori hanno criticato in modo pungente i sistemi per segnalare i problemi interni. Hanno detto che l’agenzia ha bisogno di riconoscere i suoi fallimenti e hanno raccomandato di rivedere l’approccio dell’agenzia in merito alle proprie responsabilità. Lo scopo sarebbe identificare i timori sulle possibili violazioni dei diritti umani e agire di conseguenza. Hanno inoltre suggerito a Frontex di registrare il lavoro dei guardacoste degli Stati membri dell’Ue e di conservarlo per le proprie indagini.
Dopo anni si è anche ritirata dal Forum Consultivo di Frontex PICUM – Piattaforma per la cooperazione internazionale sui migranti senza documenti, un’organizzazione per i diritti dei migranti, perché ignorata ed emarginata dall’agenzia.
Su un altro fronte, a gennaio, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf) avrebbe aperto un’indagine su Frontex, secondo i media. Le accuse sarebbero di frode, respingimenti illegali e molestie sul posto di lavoro. Sia Frontex, sia OLAF hanno confermato che un’indagine è in corso, ma non hanno offerto ulteriori dettagli. «[Gli investigatori di OLAF] stanno operando con molta attenzione – ha detto Strik -. Ho parlato con loro in agosto e sperano di finire entro pochi mesi».
Il rapporto con la Libia
Il lavoro di Frontex con la Libia, naturalmente, fa parte di un piano europeo molto più grande e costoso per esternalizzare la gestione dell’immigrazione a Paesi terzi. L’Ue ha inviato miliardi a Paesi come Libia, Niger, Tunisia e altri, apparentemente per aiutarli a migliorare le condizioni al loro interno e quindi limitare la necessità di migrare. Ma decine di milioni di quei dollari sono andati a inasprire la legislazione sull’immigrazione e a dare potere alle forze dell’ordine in quei Paesi.
A luglio, Amnesty International ha pubblicato il suo ultimo rapporto sullo stato dei migranti in Libia. Ha riportato che la Guardia costiera libica, a cui spesso arrivano segnalazioni di barconi in difficoltà da Frontex, accorre per intercettare i migranti, a volte sparando contro i gommoni o le barche, a volte provocando il ribaltamento dell’imbarcazione. Per esempio, a febbraio la Guardia costiera libica ha aperto il fuoco su un gommone, forandolo e facendolo affondare. Il rapporto dice che cinque persone sono annegate mentre i guardacoste filmavano con i loro cellulari.
Frontex è sicuramente consapevole delle preoccupazioni sulla Guardia costiera libica, nonostante si sia trovata regolarmente ad assisterla. Da anni si sa che la Guardia costiera libica, in realtà un insieme confuso di diverse autorità portuali di diverse città, lavora in comune accordo con le milizie del Paese, molte delle quali sono coinvolte nel traffico di esseri umani. Infatti, il capo dell’agenzia governativa libica che supervisiona la lotta all’immigrazione irregolare ha ammesso apertamente in una serie di interviste che la corruzione esiste tra i ranghi della Guardia costiera.
L’alto funzionario di Frontex che ha parlato con The Outlaw Ocean Project ha detto che già all’interno dell’agenzia era stato dichiarato che avere una qualunque relazione con la Guardia costiera libica sarebbe stato impensabile, in parte perché l’Europa «non aveva idea» della condotta dei sedicenti guardacoste libici. Era semplicemente troppo complesso avere relazioni con la Libia, un Paese che ancora deve uscire da anni di guerra civile. «È impossibile – conclude la fonte interna di Frontex – riuscire a stabilire chi è chi».