Viaggio a Los Angeles dove hanno aperto a Repubblica le porte della villa in cui si rifugiò il grande scrittore in fuga dal nazismo
Dario Pappalardo
LLOS ANGELES
a collina incantata domina un reticolo di vie tutte curve dai nomi che rimandano alla riviera di un Mediterraneo lontano: Sorrento, Amalfi, Capri e Monaco Drive. Star di Hollywood che non vogliono dare troppo nell’occhio riparano qui, a Pacific Palisades, nel tratto di costa tra Santa Monica e Malibu, sopra la spiaggia che secondo i Beach Boys era tra le migliori per fare surfin’ Usa. Intorno corre il Sunset Boulevard, strada maestra di una Los Angeles che non inizia e non finisce mai. Al numero 1550 di San Remo Drive, a pochi metri dalla villa dove risiede il comico Adam Sandler, abitava Thomas Mann, che il 13 luglio 1941 scriveva all’amico Hermann Hesse: «La posizione è bellissima, su una collina con vista sul Pacifico e sulle montagne; il terreno è costellato di alberi di limone e di sette palme, da qui anche il nome a cui abbiamo pensato, Seven Palms House».
Eccole, le palme dal numero magico ci sono ancora: quattro e tre, separate ora in due aree di proprietà diverse. La dimora dell’esilio – 460 metri quadri su un acro di terreno – fino al 1952 buen retiro dello scrittore tedesco fuggito dal nazismo, è intatta. Persino la siepe dove lui la mattina si metteva a scrivere è quella: all’ombra, sono stati concepiti Giuseppe il Nutritore e il Doctor Faustus . Il parallelepipedo bianco di vetro e cemento progettato dall’architetto modernista J.R. Davidson dà sul patio come allora. Negli anni Sessanta, i nuovi proprietari aggiunsero la piscina che gli austeri Mann non si concessero: siamo pur sempre in California.
«Si sente solo il respiro delle foglie. In ottant’anni è stato cambiato pochissimo: un fatto eccezionale per un Paese dove tutto si demolisce e rinnova», dice Nikolai Blaumer, lo studioso quarantenne che nel 2018 è stato inviato da Berlino per dirigere la Thomas Mann House. «Qui lo scrittore si lasciò influenzare dai libri di Upton Sinclair e dalla cultura americana. Incontrò Roosevelt quattro o cinque volte, frequentava la chiesa unitaria, andava al cinema». La casa adesso appartiene al governo tedesco, che nel novembre 2016 la salvò dal rischio di demolizione, acquistandola per 13,25 milioni di dollari. Chiusa al pubblico, accoglie cinque ricercatori selezionati dalla Germania: uno di loro occupa la stanza al piano di sopra dove dormiva il Nobel. Insieme portano avanti il programma culturale: in settembre, lo scrittore irlandese Colm Tóibín ha presentato The Magician , la biografia romanzata di Mann – il Mago per i figli – nel giardino, davanti a ottanta invitati.
Il fantasma dell’autore de I Buddenbrook aleggia ovunque, persino in cucina. La piccola comunità sta stilando la lista della spesa negli stessi spazi in cui la signora Katia Mann preparava il pranzo: una foto incorniciata alla parete la mostra ai fornelli. Il frigorifero è di nuova generazione, ma la macchina per tenere fresche le verdure resta un cimelio di modernariato. Nel salotto che accolse Albert Einstein, trionfa il baby grand piano Wheelock del 1944 su cui l’amico di famiglia Bruno Walter, direttore della Metropolitan Opera di New York, improvvisava Wagner e il filosofo Theodor Adorno si esercitava, elaborando la sua Filosofia della musica moderna . Diventerà poi lo strumento della discordia, quando scoppierà la polemica con Arnold Schönberg. La sera, tra i componenti del clan Mann che andavano e venivano – anche Erika e Klaus, i figli liberi di vivere le loro pulsioni come il padre non fu – l’élite intellettuale tedesca si dava appuntamento alla Seven Palms House. La “Casa Bianca dell’esilio”, l’ha ribattezzata il nipote Frido Mann, che lo scorso ottobre ha riconsegnato il pianoforte a Pacific Palisades con un concerto di Igor Levit.
Dalla sala da pranzo si passa allo studio – «il più bello che abbia mai avuto» sosteneva il Mago – arredato con le sedie di Richard Neutra e gli scaffali di legno; alle spalle della scrivania, è stato ricreato “l’angolo Goethe” con l’opera omnia del maestro del Faust che Thomas fece rilegare con le copertine rosse. Prima di tornare al loro posto, i volumi originali annotati e sottolineati da Mann sono stati custoditi dall’università di Berkeley, dove li aveva lasciati il figlio più giovane, Michael, padre di Frido: «Ovunque io vada c’è la Germania. Io porto la cultura tedesca in me», diceva il Nobel e i libri di Goethe erano i fondamentali compagni di esilio, i primi a uscire dagli scatoloni.
In pieno nazismo, questo punto della California diventa la Weimar del Pacifico. Dal giardino si vede bene l’altra parte del canyon con Rockingham Avenue: la strada da cui sarebbe partita la fuga di O.J. Simpson era la stessa in cui abitava il compositore Schönberg, che in zona giocava a tennis con Charlie Chaplin. Adorno si trovava poco distante, a South Kenter. Più in là, a Santa Monica, si erano trasferiti l’altro Mann, il fratello Heinrich, autore del L’Angelo azzurro, e Bertolt Brecht. Al di qua del canyon, nell’immediato circondario della casa dei Mann vivevano lo scrittore Lion Feuchtwanger, proprietario di Villa Aurora, a Paseo Miramar, e il filosofo Max Horkheimer, residente a D’Este Drive. Alcuni di loro, con l’ascesa del Terzo Reich, si erano incontrati a Sanary- sur-Mer, in Costa Azzurra, per poi decidere di fondare la colonia oltreoceano, allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Il clima mite della California meridionale, non troppo diverso da quello del sud della Francia, aiutava. E le sirene di Hollywood rappresentavano un incentivo in più.
Nel 1941, Mann si sposta verso la West Coast da Princeton, in New Jersey – dove era arrivato nel 1938 – anche perché convinto di poter lavorare per la mecca del cinema: si parla di un adattamento della saga di Giuseppe e di un film dalla Montagna incantata con Greta Garbo. Ma niente di tutto questo accadrà. La salvezza resta la scrittura, che non lo mette al riparo dalle polemiche. Schönberg non gli perdona di aver attribuito a Adrian Leverkühn, protagonista del Doctor Faustus (1947), l’invenzione della dodecafonia. Qualcuno adombra che nel ritratto del musicista pronto a vendere l’anima al diavolo si nasconda proprio lui, che non metterà più piede a Seven Palms.
Con l’ex amico si scambiano lettere da un lato all’altro del canyon e accuse a mezzo stampa. Alma Mahler tenta una mediazione: lo scrittore è costretto ad aggiungere una postilla al romanzo in cui restituisce al compositore la sua teoria armonica. Il 2 gennaio 1950, Schönberg fa arrivare un messaggio di pace: «Sotterriamo l’ascia di guerra». Morirà un anno e mezzo dopo e la loro riconciliazione non sarà mai resa pubblica. La Weimar sul Pacifico si dissolve rapidamente. Soffia il vento del maccartismo: Brecht è già andato via. I Mann declinano come i Buddenbrook. Heinrich muore nel luglio 1950; Klaus si è suicidato l’anno prima, a Cannes. Thomas, che pure aveva ottenuto la cittadinanza americana nel 1944, diventa un sospettato. “Wanted”, scrive nel suo diario. L’Fbi apre un fascicolo su di lui che confessa a Adorno: «Noi, in questa terra straniera divenutaci familiare, viviamo ormai nel posto sbagliato». Considerato un comunista negli Stati Uniti, incompreso dalla patria ormai divisa in due, già malato, il Mago, nel 1952, lascia per sempre la California. Sceglie la Svizzera, dove risiede Hermann Hesse, e a Zurigo morirà il 12 agosto 1955.
Seven Palms viene chiusa: il figlio Michael consegna le chiavi al nuovo proprietario, l’avvocato Chester Lappen, che la abita fino alla morte, nel 2010. Nel 2012 la villa è in affitto per 15 mila dollari al mese, poi va in vendita “con possibilità di demolizione”: l’annuncio dell’agenzia immobiliare non fa alcun riferimento al suo inquilino più illustre. Ma il governo di Berlino interviene. «Vogliamo che questa casa diventi un centro per il dialogo transatlantico – spiega il direttore della Thomas Mann House, Blaumer – Il compito che ci prefiggiamo è di trasferire il pensiero di Mann al nostro tempo. Abbiamo coinvolto personalità come Francis Fukuyama e Rebecca Solnit, lanciando una serie di podcast, 55 Voices for Democracy, che si pongono in linea di continuità ideale con i discorsi che l’autore tenne alla Bbc, a partire dal 1939. L’America lo sta riscoprendo: Considerazioni di un impolitico è stato appena ritradotto, così La montagna incantata, e altre opere sono in fase di ripubblicazione. Il suo spirito può essere ancora una fonte a cui ispirarsi per la politica, proprio ora che si parla di crisi della democrazia». Il suo spirito, verso il tramonto, fa muovere ancora le foglie delle sette palme.