La strategia dell’ariete

di Aldo Cazzullo

Quindi la destra italiana è tutt’altro che morta. Nell’ora del massimo disorientamento dei suoi leader, con Berlusconi che sbaglia comizio, Alfano che a Roma governa con Renzi e in tutte le Regioni si presenta contro di lui, Salvini che fa il pieno di voti su posizioni antieuro e antisistema, la destra supera il 60 per cento in Veneto, conquista la Liguria rossa, può conquistare Venezia per la prima volta dal 1993, è competitiva in Umbria e nella stessa Campania, perde nettamente solo là dove è divisa. Sia chiaro: una maggioranza politica e sociale, che nelle sue varie stagioni ha vinto quasi tutte le elezioni politiche dal ’48 a oggi, non poteva essere evaporata o convertita in blocco al renzismo. Ma se nel momento di maggior debolezza — e con una fortissima astensione che tradizionalmente avvantaggia la sinistra — i risultati sono quelli visti domenica, allora il centrodestra è competitivo per il governo del Paese.
Renzi dovrebbe tenerne conto. Tramontato il patto del Nazareno, il Pd può provare a fare da solo, purché sia unito. L’uno contro tutti, all’evidenza, non ha pagato. La presenza di un nemico è consustanziale a Renzi, fa parte della sua natura competitiva e della strategia che l’ha portato a Palazzo Chigi. Ma scagliarsi nello stesso tempo contro la minoranza interna, i sindacati, i burocrati, la Rai, le banche, la corporazione degli insegnanti, quella dei dipendenti pubblici e via battagliando è servito solo a scontentare settori tradizionalmente vicini alla sinistra, non a prendere voti a destra. Per conquistare i moderati e i delusi non basta andare da Del Debbio o da Barbara D’Urso; occorre affrontare i nodi su cui il Paese aspetta risposte. Il taglio delle tasse. Il governo dell’immigrazione, grazie anche a una nuova politica europea. La sicurezza e la certezza della pena.
Sono temi che appartengono al bagaglio tradizionale del centrodestra. Il fatto che in passato Berlusconi non sia riuscito a coltivarli non esime Renzi dal provarci: al governo ora c’è lui. Ed essere al governo, nell’Europa continentale ancora percorsa dalla crisi, non è un vantaggio. Eppure, se si dovesse votare presto, il premier resterebbe il favorito: un conto è sostenere candidati più subìti che scelti, un altro è impegnarsi in prima persona. Anche perché l’opposizione ha un problema da risolvere.
Per arrivare al ballottaggio previsto dalla nuova legge elettorale, Forza Italia e Lega devono presentarsi nella stessa lista. E devono esprimere un leader comune. Oggi Salvini è il candidato più forte per battere Grillo al primo turno. Ma rischia di essere il candidato più debole al secondo turno, quando si deve conquistare il centro. O a destra matureranno altre personalità; oppure Salvini dovrà dimostrare di avere una cultura di governo compatibile con l’appartenenza all’Unione Europea. L’aliquota unica al 15% è uno slogan accattivante per quanto impossibile. La fuoriuscita dall’euro e la deportazione dei rom mobilitano l’elettorato più radicale; ma poi le elezioni, quelle vere, le vincono i miti come Toti e Zaia .