L’ex premier va allo scontro “Non accetto la diarchia”

di Annalisa Cuzzocrea
ROMA — Chi conosce bene Giuseppe Conte pensa che a questo punto abbia solo due scelte: mollare o andare allo scontro. Cedere no, cedere a questo punto non sarebbe possibile. L’ex premier aveva provato fino alla fine a convincere Beppe Grillo della bontà delle sue intenzioni. Aveva — nelle ultime due telefonate — aperto ad alcune delle modifiche allo Statuto richieste. Restava un nodo: quello delle scelte politiche e di comunicazione, ma l’avvocato sperava di poterlo risolvere con calma. Magari a cena, magari nel faccia a faccia che nelle ultime ore gli è stato negato. Così come gli è stato negato di essere presente durante l’incontro del Garante con i deputati M5S prima e con i senatori poi.
Già questo poteva aiutare a prefigurare la tempesta. Ma quel che è venuto dopo, le parole sulla scarsa conoscenza del Movimento, le frasi come: «È Conte che ha bisogno di me perché lui è razionale e io sono visionario», no, davvero non se le aspettava. Così, agenzia dopo agenzia, la sua rabbia non ha fatto che aumentare. E i suoi fedelissimi hanno cominciato a scriversi messaggi come: «Domani se ne va in ferie e ci dice addio».
È l’ipotesi di una diarchia a essere considerata inaccettabile. E non per una questione di superbia, ma perché così il Movimento che aveva in mente non può reggere. Aveva chiesto carta bianca, l’ex premier, aveva creduto di averla avuta davvero e invece ha subito una sconfessione in piena regola. Di tutto il lavoro fatto finora. Delle scelte compiute e di quelle che dovevano arrivare in questi giorni.
Accettare l’incarico in queste condizioni, con il Garante che per chiarire chi comanda pretende di fare una foto col nuovo simbolo in mano con tutti i senatori che Conte aveva incontrato il giorno prima, tentando di portarli dalla sua parte, sarebbe secondo chi gli è vicino folle. Perché significherebbe cominciare un percorso già difficile con sopra la testa la spada di Damocle del fondatore. Che pretende ancora di essere l’imperatore nell’arena, colui che ha sempre l’ultima parola. Soprattutto, Grillo ha chiarito a chi gli ha parlato a margine degli incontri che per lui una diarchia non è solo necessaria, ma indispensabile perché — ormai — di Conte non si fida. Fine del mandato, fine dei pieni poteri per rifondare il Movimento concessi all’hotel Forum qualche mese fa tra una tartina e un bicchiere di vino.
Dopo gli incontri con i parlamentari, i due si sentono a lungo. Una telefonata burrascosa, in cui ciascuno rimane sulle sue posizioni. Il fondatore è convinto che l’avvocato finirà per cedere, come hanno sempre fatto tutti. Ma non è detto sia così. L’ex premier potrebbe piuttosto decidere di andare allo scontro convincendo alcuni parlamentari a stare dalla sua parte, garantendo loro un futuro politico che il Garante non sembra più in grado di garantire. «Siamo all’implosione », dice uno dei dirigenti grillini. E davvero non si vede come possa essere diversamente.
Se davvero Conte decidesse di sfidare il fondatore del Movimento, tutti, da Luigi Di Maio a Stefano Patuanelli, dalla ministra Fabiana Dadone al presidente della Camera Roberto Fico, dal capogruppo a Montecitorio Davide Cippa a quello a Palazzo Madama Ettore Licheri, da Paola Taverna a Roberta Lombardi, tutti dovrebbero decidere da che parte stare. E tutti, finora, sono stati da entrambe le parti pensando fosse Davide Casaleggio, l’ultimo ostacolo all’unità.
Non era così, ma davvero i parlamentari M5S lo hanno scoperto ieri. Quando hanno visto Grillo arrabbiato e al tempo stesso desideroso di riprendere le redini di una creatura che crede ancora solo sua. Talmente convinto di avere ragione, da andare via senza accettare neanche una domanda, neanche un distinguo.
Di una cosa sono tutti convinti: una conciliazione non è più possibile. Le parole usate sono troppo dure per poter tornare indietro. La verità — chiosa chi conosce entrambi — «è che Conte vuole troppo potere. E Grillo, che è uomo di potere, non ci pensa nemmeno». Dice sempre di volersi fare da parte, l’Elevato. L’errore è stato credere che fosse vero.
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