Marco Galluzzo
ROMA Va in un altro sistema istituzionale, in un altro apparato dello Stato, ma per Elisabetta Belloni non cambia una personale filosofia, il modo di lavorare, persino gli obiettivi da raggiungere. Certo i Servizi non sono la diplomazia, ma sono comunque un riferimento sistemico dello Stato, che può e deve essere governato con degli schemi che valgono al di là della singola struttura.
Oggi per Elisabetta Belloni è l’ultimo giorno dopo cinque anni da segretario generale della Farnesina, l’ultimo dopo 36 anni di carriera diplomatica, da lunedì sarà a capo del Dis, dunque dei nostri apparati di sicurezza. Oltre a una stima bipartisan, a una carriera in qualche modo eccezionale, si porta dietro dei principi che i suoi collaboratori più stretti conoscono molto bene. E che applicherà anche al nuovo compito, a cominciare dal modo di vivere l’impegno professionale al servizio della Repubblica. Si può servire in tanti modi, ma per Belloni essere servitori dello Stato significa una sola cosa: «Farlo con lealtà, con indipendenza, al di là di ogni logica di appartenenza, avendo come stella polare la difesa dei valori delle istituzioni, in primo luogo la Costituzione».
In questo modo di intendere la funzione pubblica, da un lato al servizio del governo, dall’altro non dimenticando che sono i cittadini i beneficiari ultimi del buon funzionamento di ogni istituzione dello Stato, il nuovo capo del Dis ha una visione ben precisa del rapporto fra politica e istituzioni. Una visione che le ha consentito di mantenere la guida della Farnesina nonostante l’avvicendamento di ministri di diverso colore politico, come di diversi presidenti del Consiglio.
Questa visione ha contribuito nella scelta operata da Palazzo Chigi, nella soddisfazione piena anche della prima carica dello Stato. Per Belloni servire lo Stato significa che gli apparati pubblici non possono essere né maggioranza né opposizione, significa anche «isolare chi non rispetta questa regola». Un modus operandi che ha anche un contraltare: quello di chiedere rispetto per la lealtà allo Stato, per chi lavora ogni giorno per l’interesse nazionale, per costruire sicurezza e stabilità del Paese, un obiettivo che è comune alla nostra diplomazia come agli apparati di sicurezza.
Insomma l’incondizionato spirito di servizio, per ben funzionare, non può che essere biunivoco: la funzione di governo e chi la mette in pratica devono osservarla nello stesso modo. Si è scritto che la scelta di Draghi è caduta su una donna che ha collezionato diversi record professionali per togliere anche il solo sospetto che i nostri apparati di sicurezza abbiano seguito logiche politiche negli ultimi anni. Lei, con le sue idee, ha fatto il resto: «Abbiamo bisogno del governo per navigare — ama dire — abbiamo bisogno di conoscere la rotta, meglio la conosciamo meglio possiamo lavorare». È una declinazione dello spirito di servizio, ma anche la rivendicazione, rivolta alla politica, di una mission chiara, decisa, nell’interesse del Paese.