Laterza con Croce. E oltre

Ricorrenze Nasceva 120 anni fa la casa editrice che ha segnato la cultura italiana. E nel 2001 moriva Vito, che ne ridefinì il ruolo

 

L’intesa del fondatore Giovanni con il filosofo, poi il nuovo corso nel dopoguerra

di Alessandra Tarquini

 

Il 10 maggio del 1901, Giovanni Laterza, un ventottenne pugliese autodidatta, figlio di un commerciante di legname, annunciò la nascita della piccola casa editrice di famiglia e l’uscita del volume Il pensiero di E. Ibsen di Aurelio Giuseppe Amatucci. Pochi mesi dopo, in dicembre, si recò a Napoli per presentare i suoi progetti a Benedetto Croce. Quel 6 dicembre, racconta Luigi Russo, il filosofo invitò il giovane intraprendente a dare un’identità definita alla sua iniziativa, a pubblicare saggi di storia, filosofia e politica e, quindi, come gli avrebbe scritto di lì a poco, a farsi «editore di roba grave». Dopo averlo ascoltato, Giovanni non ebbe remore nel chiedergli: «Ma se questi libri poi non mi vanno?» «Beh, Laterza — ribatté Croce —, voi mi parete (…) quel giovanotto che, chiesta la mano della sposa al vecchio genitore, alla fine gli obbiettò: e se vostra figlia mi fa le corna?». Mai come in questo caso, nessuno tradì nessuno e il legame si rivelò indissolubile.

Giovanni tornò a Bari, consapevole di aver incontrato la persona con cui costruire un’impresa originale e moderna, in una regione priva di istituzioni culturali di primaria importanza. Nel giro di pochi mesi, il ventottenne libraio-tipografo a caccia di occasioni, si trasformò in un editore di saggistica capace di realizzare il grande progetto crociano: pubblicare volumi di assoluta qualità, diffondere in Italia le opere dei migliori autori stranieri e, soprattutto, incidere sul dibattito pubblico per contribuire a creare una nuova coscienza nazionale.

Nei successivi dieci anni nacquero le collane principali: la «Biblioteca di cultura moderna», i «Classici della filosofia moderna» e «Gli scrittori d’Italia». Giovanni divenne un interlocutore dei principali intellettuali italiani e fra questi di Giovanni Gentile, con cui strinse una sincera amicizia che durò dal 1905 fino al 1928. Quell’anno Laterza pubblicò la seconda edizione della Storia d’Italia dal 1871 al 1915 di Croce, dove l’attualismo gentiliano veniva definito «un non limpido consigliere pratico». Gentile fu irremovibile e decise di interrompere il lungo rapporto con l’editore che si schierò con Croce, come fece durante tutto il ventennio fascista, fino all’agosto del 1943, quando morì. Terminava così la prima parte della storia della casa editrice, suggellata dalla morte di Croce nel novembre del 1952, in un mondo trasformato dalla Seconda guerra mondiale e in un paese democratico e antifascista.

All’inizio degli anni Cinquanta, Franco Laterza, il figlio di Giovanni, e suo cugino Vito avviarono la nuova fase, dovendo fronteggiare la concorrenza dei grandi gruppi del Nord, in un clima decisamente ostile a Croce e ai crociani. La maggioranza degli studiosi italiani, infatti, considerava il filosofo uno dei responsabili dell’avvento del fascismo, il simbolo di un’Italia liberale sconfitta dal regime totalitario, l’espressione di una cultura provinciale e nazionalista.

Fu allora che Vito inventò una nuova Laterza post-crociana. Nato a Bari nel 1926, a differenza di Giovanni, era laureato, aveva alle spalle un’azienda consolidata, benché provata dalla guerra, ma certo non poteva avvalersi della guida di un grande filosofo come Croce. Diede vita, dunque, ad un gruppo di amici e collaboratori assidui della Laterza, instaurò un dialogo proficuo con gli intellettuali liberaldemocratici che gravitavano intorno al «Mondo» di Mario Pannunzio e, più in generale, orientò l’attenzione verso la cultura riformista e di sinistra. In realtà, se la grandezza di un imprenditore risiede nella sua capacità di coniugare la produzione con le esigenze della società e del mercato, e in questo caso di stampare opere di qualità riuscendo a venderle, al di là degli orizzonti culturali e delle visioni del mondo, Vito proseguì nella direzione tracciata da Giovanni rispondendo alle domande del proprio tempo.

L’attenzione alla scolastica con la pubblicazione di manuali di grande successo, l’apertura alle scienze sociali, la presenza nel catalogo Laterza di nuove discipline, dalla linguistica all’architettura, e il dialogo con studiosi di fama internazionale, furono il frutto della volontà di Vito di consolidare la casa editrice che nel 1963 divenne una società per azioni. E, infine, volendo individuare la caratteristica più significativa della sua gestione, e quindi della seconda parte di questa lunga storia, dovremmo sottolineare un dato: dalle prime collane, come i «Libri del tempo», ai «Robinson», dall’«Universale Laterza» alle «Interviste», l’azienda che oggi compie centoventi anni, pur mantenendo centrale la produzione di testi specialistici, ha intercettato, come poche altre, la domanda di alta divulgazione degli italiani: ha portato i grandi temi del dibattito ad un pubblico ampio ed eterogeneo e così ha contribuito ad innalzare il livello culturale del Paese.

Vito Laterza morì venti anni fa, il 28 maggio del 2001. Descriveva l’autore come un pazzo erasmiano, capace di vivere la produzione del libro come una gravidanza e la sua uscita come un parto. In effetti, i tanti figli Laterza messi in fila sugli scaffali delle biblioteche, delle librerie, delle nostre case, sono anche suoi e del prozio Giovanni, anche loro pazzi erasmiani convinti che scrivere, leggere, o meglio ancora comunicare, è ciò che ci rende vivi.

 

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