Alzi la mano chi non ha mai visto l’affresco di Guidoricco da Fogliano!
Credo che non esista manuale di storia, di ogni ordine e grado, che non ne riporti l’immagine. Ricordo il mio libro della seconda media, con la bella coperta di cartone azzurro, quasi l’ammiccante promessa di una storia in tecnicolor, ferocemente disattesa da un corredo iconografico tutto giocato sui toni del bianco, del grigio e del nero. Che delusione… Ma quel cavaliere che avanzava con briglie e insegne alla mano, elegantemente seduto sul suo destriero, attraversando in tutta dignità lo spazio di un rettangolo di luce posto tra cielo e terra, aveva qualcosa che catturava l’attenzione, a prescindere dalla totale assenza di colore; qualcosa che irretiva l’occhio, spingendolo a indugiare e a fantasticare a lungo sul profilo di cavallo e cavaliere e sulle colline che segnano la linea dell’orizzonte. Mi ci sono voluti molti anni prima di vedere quell’affresco in tutta la sua monumentalità nella Sala del Mappamondo e scoprire la gamma cromatica dei blu e dei ‘seppia’ che imprimono massa e movimento a quel capitano di ventura che, con la sua sopraveste a rombi, da secoli e secoli, avanza ieratico su cavallo e gualdrappa, proiettato su uno sfondo cobalto, sublimazione di un cielo dalla densità quasi metafisica. E la realtà, per una volta tanto, ha sopravanzato le fantasie della mia infanzia.
E dire che non era neanche Senese, come avevo creduto da dodicenne! L’affresco che immortala Guidoriccio, imprigionandolo in un’istantanea strappata alla storia, è l’omaggio di una città, Siena, ad uomo giunto dal Nord in soccorso del suo popolo in un momento di instabilità politica, nell’‘annus Domini’ 1327. Perché Guidoriccio veniva dal castello di Fogliano, nel territorio di Reggio Emilia, ed era stato chiamato dal Comune di Siena come ‘capitaneus guerrae’, perché guidasse la città contro lo storico nemico pisano e la schiatta degli Aldobrandeschi. Fu uomo accorto, il condottiero, ben attento a restare ‘super partes’, e per quanto fosse e restasse un mercenario al soldo del miglior offerente, seppe servire bene la città e guadagnarsi le 20.000 lire annue versategli dal Comune come compenso per le sue azioni. Una dopo l’altra espugnò e indusse alla resa i borghi di Montemassi, Sassoforte, Scansano, Arcidosso e Massa Marittima, garantendo a Siena una supremazia destinata a durare per diverso tempo e conquistandosi poco a poco la stima dei Senesi, da sempre poco inclini a legarsi o ad affidarsi a chi Senese non è… Un buon investimento, diremmo oggi.
Ma una volta che ebbe compiuto il suo dovere, una volta raggiunto lo scopo per cui era stato chiamato, i suoi detrattori, gelosi della civica libertà, gli dettero il ben servito, non senza indorare la pillola con l’agro-dolce riconoscimento dei suoi meriti di uomo d’armi, certamente scaltro e provvisto di notevoli capacità strategiche, ma non più gradito. Altri tempi, altri modi! Ma come dar
loro torto? Diciamoci la verità, chi mai vorrebbe, oggi come allora, mettersi un padrone in casa? Lasciare i propri affari ad altri, permettere a gente che non condivide il nostro sangue e i nostri affetti di gestire i nostri interessi e la nostra ‘familia’? Non si trattava certo di ingratitudine, ‘qualità’ da sempre radicata nei cuori umani, anche di noi toscani, avvezzi all’indipendenza interiore ed esteriore, quanto piuttosto di un atto dettato da prudenza: troppi successi aveva raccolto quel capitano durante i sei anni trascorsi in terra senese, troppo potere nella mani di un unico uomo; davvero pericoloso abbandonarsi all’arbitrio di un solo individuo, un elemento ‘allogeno’ e per giunta prezzolato, col rischio che questi potesse poi prevaricare e scavalcare nella gestione del governo cittadino coloro che lo avevano vocato a sé… La fiducia è una bella cosa, ma la prudenza paga meglio. Dunque, meglio saldare ogni debito e rimettere Guidoriccio al suo posto, cioè lungo la via di casa, giusto per riprendere il controllo della propria sovranità e del ‘Commune’, emanazione della ‘res publica’ per definizione.
Così, nel 1333, i Nove lo allontanarono da Siena, non senza avergli prima tributato onori adeguati, tra cui un grande riconoscimento: un affresco destinato a celebrarne nei secoli le gesta (dai più attribuito a Simone Martini). Guidoriccio incassò il colpo con la dignità e l’intelligenza di un uomo abituato a confrontarsi con i rovesci della fortuna e riprese la via del Nord, dove continuò a svolgere con alterne vicende il suo mestiere, votandosi alla guerra e al maneggio delle armi. Ma così duraturo fu il ricordo lasciato dalle sue gesta e così positiva l’impressione suscitata nei riottosi Senesi dalla sua subitanea rinuncia, dal suo quieto ritirarsi, del tutto degno di un Cincinnato redivivo, che quasi vent’anni dopo se lo ripresero di buon grado, offrendogli di nuovo l’incarico da cui era stato repentinamente destituito molto tempo prima. Tardivo tributo alla sua duttilità, alla sua capacità di saper leggere i tempi, di saper ‘prendere’ e ‘lasciare’ al momento giusto, dote necessaria di ogni stratega, tecnocrate o politico che si rispetti, perché il popolo – si sa – è sovrano.
Alla sua morte, nel 1352, fu degnamente onorato e sepolto a spese del Comune in San Domenico, dove dorme il sonno dei giusti da quasi 700 anni. Il suo ‘fantasma’ continua a trottare lungo i muri del Palazzo Comunale, deliziando l’occhio di chi corre a rimirarlo da tutto il mondo, ma ancor più smuovendo le coscienze dei Senesi che oggi devono fare i conti con chi, invece, non sa andarsene in nome del Bene Comune…
Ah, se potesse tornare Guidoriccio a salvarci tutti!!
(Libero contributo)