Tecnica e libertà nella visione di Giulio Giorello

Società Il saggio di Mezza (Donzelli)

 

di Giampiero Rossi

 

«Mai nella storia dell’umanità l’intera popolazione terrestre si è trovata, esattamente nello stesso istante, immersa nella stessa situazione, con lo stesso scenario e il medesimo linguaggio, a prescindere da condizioni sociali, geopolitiche e geografiche. Solo un altro fenomeno può ambire — per numero, identità, coinvolgimento e potere totalizzante — a coincidere con la diffusione del coronavirus: la rete». Parte da queste premesse Il contagio dell’algoritmo (Donzelli, pagine 228, e 14), il libro di Michele Mezza, che propone una riflessione sui cambiamenti che ci hanno travolti. In altre parole per controbilanciare «quello spazio che, dilatandosi, sta ingoiando la nostra democrazia, in cui scienza e tecnologia si separano dagli interessi e dalle volontà», diventa più che mai indispensabile accrescere le consapevolezze digitali.

Tutto o quasi è inedito in questa fase. A noi che la viviamo è dato il «tragico privilegio» di poter seguire in diretta la «straordinaria velocizzazione degli eventi che condensa in pochi mesi la radicalità di fenomeni che in altre epoche avevano coperto interi secoli, sfuggendo a qualsiasi possibilità di testimonianza individuale sull’insieme dei processi in atto». La pandemia, osserva Mezza citando Paolo Giordano, «è diventata così un’emergenza matematica, mutando la materialità dei processi deliberativi, e con essi la stessa trasparenza della democrazia».

Si è affermato un «potere computazionale», fondamento della strategia di contenimento dell’epidemia e base delle scelte politiche, «dunque è la potenza di calcolo l’unico fattore abilitante delle nostre democrazie deliberative. Si decide se si calcola, e solo chi calcola può decidere». In pratica «algoritmi e virus si confrontano, non senza reciproche complicità». La repentinità della transizione ha comportato un primo effetto: «Ci ha costretto a cedere funzioni discrezionali sensibili a pochi centri tecnologici che oggi, persino con la nostra riconoscenza, possono concentrare in poche mani tutti i dati del mondo per ottenere i migliori algoritmi predittivi».

Tutto male, dunque? No, qualche prospettiva c’è, perché «insieme alla progressione prescrittiva dei monopoli digitali, aumentano anche consapevolezza e ambizioni di quel popolo intraprendente e irrequieto che si riconosce come soggetto primario del nuovo sistema a rete». Ma i riflettori del libro restano puntati sul concetto di libertà. E dopo averne discusso lo schema con Giulio Giorello, morto nel giugno scorso proprio per i postumi del Covid, Mezza lascia concludere il suo libro alla moglie del filosofo, Roberta Pelachin, che unisce citazioni, aneddoti e ricordi personali a riflessioni sull’interpretazione del pensiero di Giorello, «innamorato della libertà».

Riporta un testo che Giorello aveva dettato per telefono a Massimiliano Finazzer Flory il 22 marzo: «Non vogliamo né uno Stato a cui dover inchinarci né una “scienza medica” che con un colpo di spugna cancelli tutto quel dibattito di idee, metodi, soluzioni da cui nascono il prestigio e il fascino della stessa buona ricerca medica. La quale senza libertà pare destinata a ridursi a una tecnologia di controllo che inevitabilmente spegnerebbe le buone ragioni con cui i cittadini si affidano ai medici». E la stessa Pelachin, a proposito dei pericoli paventati nel libro, scrive: «Non si tratta di demonizzare il digitale, ma di essere attenti e misurati. Qui sì è bene prendere le distanze di sicurezza».

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