Con un volume di affari annuo di 3,1 miliardi di euro (circa lo 0,2 del Pil italiano), il comparto spettacolo occupa stabilmente 142.000 lavoratori. Il lockdown di primavera ha lasciato cicatrici profonde: i biglietti staccati nel 2020 rispetto al 2019 sono stati il 75 per cento in meno; il 20 per cento dei 1.218 cinema italiani non ha ancora riaperto; la perdita di incasso per i gestori delle sale è stata di 123 milioni di euro. Una catastrofe, solo in parte attenuata dalla cassa integrazione e dai contributi del Fondo emergenze del ministero per i Beni e le Attività culturali. Ora quest’ennesimo stop, che toglierà fiato e risorse. Gli operatori stimano una perdita di 64 milioni di euro a novembre, senza contare gli effetti sull’indotto. “Il Dpcm è ingiustamente penalizzante”, dice Carlo Fontana, presidente dell’Agis, che rappresenta le imprese del settore. “I luoghi di spettacolo si sono rivelati tra i più sicuri spazi di aggregazione sociale, abbiamo sostenuto onerosi investimenti per elevare il livello di prevenzione”. Agis di recente ha consegnato al governo un report del suo Ufficio studi, che documenta come nei quasi tremila spettacoli dal vivo organizzati tra il 15 giugno e il 3 ottobre (più di trecentomila spettatori) si sia registrato un solo caso di contagio.
“La nuova chiusura comporterà un colpo difficilmente superabile”, conclude Fontana nella lettera inviata ieri a Conte e al ministro Dario Franceschini. “Servono interventi urgenti a tutela delle sale – dichiara invece Mario Lorini, il presidente dell’Associazione nazionale esercenti cinema – nei cinque mesi trascorsi dalla ripartenza abbiamo più volte e invano chiesto al governo un sostegno per una forte campagna che comunicasse quando da noi fatto: ingressi contingentati, distanziamento dei posti, termoscanner”.
Le lettere di protesta contro il Dpcm non sono solo quelle degli operatori. L’invito alla riapertura immediata di sale cinematografiche e teatri arriva da dieci assessori alla Cultura, primo firmatario quello di Roma Capitale Luca Bergamo: “State colpendo il settore produttivo italiano che più di ogni altro ha saputo adottare misure efficaci, causerà effetti economici disastrosi”. E Walter Veltroni si chiede “se sia giusto autorizzare le messe e non i teatri e i cinema dove non c’è stato alcunché”.
L’appello più accorato, però, è contenuto nella lettera aperta a Conte e Franceschini firmata da registi, sceneggiatori e alcune sigle del comparto. “La cultura è un bene primario come la salute. Azzerarne oggi una parte fondamentale come quella dello spettacolo è un’azione priva di logica e utilità. L’eliminazione degli unici presidi di socialità sicuri, alternativi alla movida di strada e alla convivialità dei locali di ristorazione, comporterebbe il disorientamento di quella parte della popolazione che meglio sta reagendo alla pandemia”. Tutti vogliono l’apertura di un tavolo di confronto. Il ministro Franceschini assicura che già nei prossimi decreti inseriranno contributi per i lavoratori dello spettacolo.