La collana Da oggi con il quotidiano esce la raccolta di tutte le opere illustrate dello scrittore che avrebbe compiuto cento anni. Tra queste, le storiche edizioni «colorate» da Munari. Un narratore del XXI secolo spiega perché è ancora viva quella lezione di piccole cose che non hanno bisogno di grandi sogni
di Pierdomenico Baccalario
In una delle tante cene con Luigi Spagnol, il grande editore per ragazzi partito nell’Estate in cui il mondo si è abbruttito, discutevamo di quanto sarebbe improbabile che un editore moderno pubblicasse un libro di Roald Dahl: troppo scorretto, troppo cattivo, poco attento a rispettare le «own voices delle minoranze (che in Dahl son quasi sempre le persone di buon senso, senza tante altre distinzioni). Insomma, un autore troppo personale e discontinuo rispetto alle idee del tempo in cui viviamo e a quelle che si pensano determinino un certo consenso.
E credo che varrebbe lo stesso per un nuovo Rodari: chi sarebbe disposto a pubblicare i suoi libri di filastrocche, o brevi racconti? Le sue compilazioni spiritose di risposte alle questioni dei bambini?
La risposta facile è che se fossero belle come quelle di Rodari, o lui fosse uno youtuber di successo, tutti. La risposta difficile è capire chi sia ancora in grado di capirlo, liberandosi delle idee diffuse di ciò che va, non va, piace, non piacerà. E, soprattutto, quanti autori ci sono, là fuori, che troverebbero in questa misura, breve, sporadica, compilatoria, un’ispirazione degna di nota.
Il problema, se problema è, è questo: ci hanno fatto inghiottire così a lungo la tiritera del «viaggio dell’eroe» (l’eroe non vuole partire per l’avventura, infine parte perché solo lui può farlo, la affronta tra mille difficoltà aiuti tradimenti e infine torna al punto di partenze, cambiato lui e cambiato il punto di partenza) da convincerci che sia l’unica possibile struttura per raccontare una storia. E non solo se vogliamo fare un nuovo Star Wars: ci hanno convinto che questo assunto fosse vero fin dagli antichi Greci, come se tutto ciò che hanno prodotto gli antichi Greci fosse stata l’Odissea. Chi fa l’autore, oggi, si sente quindi in dovere di incastrare un po’ di questo schema nella sua storia, raccontarla in un pitch (un succo di pochi minuti) e a identificarne gli elementi che la rendono unica, distinta da tutte le altre e irripetibile, come fosse un nuovo shampoo, e come se le storie importanti dovessero per forza essere quelle irripetibili. Inutile aggiungere che chi, invece, come gli antichi Greci, va in piazza, sa quanto sia animata più o meno dalle stesse storie, con piccole variazioni di gran gusto.
In questa profusione di epiche pasticciate, ripetizioni improbabili, di saghe, di archi narrativi più o meno tutti uguali, di epifanie ampiamente prevedibili (papà, sei tu? figlio mio!), Rodari spicca, quindi, ancora di più, per unicità.
Gli scritti
La sua è una rivoluzione quotidiana, costante, fatta
di vocaboli girati all’improvviso,
di sberleffi complici
E sono in molti gli autori che dovrebbero sentire, se non l’obbligo, almeno lo stimolo di armarsi come lui di parole semplici (la semplicità come obiettivo ecco una cifra comune dei grandi autori), di uno sguardo fresco, di una capacità mimica infantile, del gusto della piccola cosa assurda che diventa totale: pensate al raccontino della strada che non porta in nessun posto, ah!, che arma imbattibile, del tutto incomprensibile a chi fa marketing, ma chiarissima a qualsiasi bambino con gli occhi scintillanti. Sarebbe un po’ come dare il via a una ribellione nazionale contro le storie fantastiche tutte uguali. È un po’ quella che istintivamente facciamo come genitori, quando scegliamo di leggere Rodari insieme ai nostri bambini, perché loro i suoi libri non se li prenderebbero mai da soli, troppo aliene le illustrazioni di Munari: vogliamo dare loro qualcosa di diverso da tutto ciò che sta loro normalmente intorno. Compreso il fatto di riuscire a condividerlo e apprezzarlo — in modo diverso — insieme.
È una letteratura lieve e libera, di piccole cose che non hanno bisogno di grandi sogni da avverare a tutti i costi per essere sicuri di avere un senso nella propria vita. Una rivoluzione fantasiosa di piccolo cabotaggio, quotidiana, costante, fatta di parole girate all’improvviso, di uno sberleffo complice che basta a smontare di volta in volta l’apparato intellettuale o burocratico in cui ci siamo andati a cacciare.
Funziona anche con certi autori non per ragazzi: pensate al primo Stefano Benni, o a quando Marco Malvaldi sostituì i bambini rodariani con i vecchietti del Barlume. Siamo lì. E peccato che a entrambi sia poi venuto il dubbio che a essere così leggeri rischiassero di non sembrare abbastanza intelligenti. Rodari se ne è fatto un baffo.
Non dovremmo fare a meno di essere autori Rodariani per difesa culturale, per un principio di eguaglianza che non significa cieca ripetizione, per ricordarci come divertirsi senza aver bisogno effetti speciali. Come fa quel Gargantua di Andrea Valente, nei suoi incontri e con i suoi racconti. O Bruno Tognolini con le sue filastrocche alchimistiche sempre dalla parte dei bambini (tanto da aver trasmesso il talento della scrittura a sua figlia, e scusate se è poco). E che dire di Bernard Friot, che dalla Francia si è imparato l’Italiano e la sua grammatica tutt’altro che fantasiosa, pur di poter inventare giochi di parole?
Eredi
In molti oggi dovrebbero dotarsi di quello sguardo fresco,
di quella capacità mimica infantile che le sue storie rivelano
Per chi voglia trovare nuovi Rodari, oggi, è meglio andare là dove il viaggio nell’eroe non ha ancora trasformato tutto in banale turismo, vale a dire negli albi illustrati, di narrativa e non. Cercate Fabian Negrin, Marco Viale, Marco Somà, Beatrice Alemagna, Davide Calì, tutti capaci di raccontare in modo surreale anche solo un aspetto della quotidianità infantile, che profuma ancora di campanili e piazzette.