Politica e selezione
di Paolo Mieli
L’invito di Luigi Di Maio a che Partito democratico e Movimento Cinque Stelle non si «fossilizzino» su Giuseppe Sala (a Milano) o Virginia Raggi (a Roma) e procedano a «un’alleanza programmatica nelle grandi città» è un segnale del fatto che le trattative segrete tra i due partiti vanno avanti intensamente. L’elezione di primavera dei sindaci dei più importanti centri urbani d’Italia, sarà infatti una formidabile occasione per selezionare una nuova classe dirigente che dovrà esser pronta per la ricostruzione post pandemica. Selezione che è già iniziata con le regionali laddove leader in parte nuovi, destinati a prendere in mano importanti aree del Paese, si sono misurati con il delicato tema del consenso elettorale. Tema con il quale, sia detto per inciso, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte non ha ancora avuto l’occasione di cimentarsi. C’era e sarà in ballo qualcosa di più dell’elezione di presidenti regionali o primi cittadini. Non sapremmo dire, però, se le principali forze politiche del Paese a oggi siano consapevoli del senso profondo di questa opportunità.
Nel centrodestra al momento sembra che i vertici stiano discutendo di un palinsesto televisivo. Qualcuno, per il Campidoglio, avrebbe proposto la candidatura a Massimo Giletti il quale ha fatto sapere di «non aver detto di no» .
S ubito un parlamentare berlusconiano, Andrea Ruggieri, ha obiettato che il conduttore di «Non è l’arena» sarebbe sì un concorrente «fantastico» però purtroppo è nato a Torino; meglio, secondo lui, rivolgere le attenzioni della destra a Nicola Porro, «romano» (anche se non di nascita), «capace di allargare il campo», «un vero liberalizzatore nei trasporti, nel commercio, nell’industria». Dopodiché, Ruggieri ha accusato la senatrice Licia Ronzulli che accompagna Tajani in questo genere di trattative di «conoscere sì e no Milano». Spunti interessanti per una discussione che potrebbe anche alzarsi di livello.
Anche il centrosinistra può fare di meglio nel modo di discutere dei futuri sindaci. Prima di tutto facendo chiarezza sul tema delle primarie. Le primarie furono inaugurate quindici anni fa per la designazione plebiscitaria di Romano Prodi alla guida della sinistra riunificata. Prodi nel 2006 fu poi il primo e ultimo presidente del Consiglio del centrosinistra passato — dopo aver vinto le primarie — attraverso una prova elettorale. Gli altri (Letta, Renzi, Gentiloni) entrarono a Palazzo Chigi per via di manovre parlamentari. Così nel tempo le primarie sono diventate qualcosa che i leader scelgono a piacimento, quando non hanno sottomano un candidato che considerino unanimemente all’altezza. In genere si procede così: il segretario del partito o chi per lui lascia filtrare il nome di qualche personalità che goda di buona reputazione; la personalità si dice onorata ma risponde con un «no grazie»; inizia una sarabanda di autocandidature accompagnate da proposte informali a donne e uomini di vario tipo. Personaggi evidentemente considerati di minor valore dei primi il cui rifiuto nel frattempo viene assai valorizzato dai media. Messa in questi termini, l’offerta di candidatura in seconda istanza (con un «passaggio attraverso le primarie») non è un segno di grande riguardo. Tanto più se qualche proponente fa trapelare che il transito per i gazebo potrebbe essere evitato nel caso in cui il candidato dia segni di docilità.
È quel che capita a Carlo Calenda il quale ha annunciato che entro la settimana che inizia oggi dirà se — indipendentemente dal gradimento del Pd — ha o meno intenzione di lanciarsi alla conquista del Campidoglio. Ha ricevuto, Calenda, un imprevedibile incoraggiamento da Pierluigi Castagnetti, importante ex dirigente della Dc, grande amico di Sergio Mattarella (tant’è che alcuni, in totale errore, leggono le sue parole come se venissero ufficiosamente dal Quirinale; un po’ quel che accadeva, ai tempi di Giorgio Napolitano, con Emanuele Macaluso). A Calenda è arrivato altresì il sostegno di importanti dirigenti di Italia Viva e dell’area ex renziana del Pd. Ma Andrea Romano, parlamentare dem, suo ex compagno d’armi ai tempi in cui entrambi militavano in Italia Futura (l’associazione di Luca Cordero di Montezemolo), lo ha prontamente impallinato: «Carlo», ha dichiarato, «è come Di Battista, un egocentrico… tra lui e la Raggi non saprei chi è peggio». E il manifesto ha riportato la minaccia anonima (ma credibile) di un «alto dirigente dem molto vicino a Zingaretti» nella quale si avverte Calenda che se vorrà essere il candidato dei renziani contro l’attuale gruppo dirigente del Pd finirà «come Scalfarotto in Puglia». Cioè sotto il 2%. Il Foglio ha consigliato al leader di «Azione» di riconciliarsi con il Pd rivalutando il governo Conte, nonché l’esperienza politica dei Cinque Stelle. Calenda ha ringraziato ma non ha raccolto il suggerimento. Quanto ai gazebo, l’europarlamentare ha detto che procedere in tempo di Covid al loro allestimento non gli sembra una grande idea.
In attesa che si faccia chiarezza sul caso dell’ex ministro per lo Sviluppo economico, senza che nessuno desse il via, si sono aperte a sinistra le iscrizioni alla corsa per la candidatura. I concorrenti sarebbero già sette, ribattezzati sui giornali, anche quelli non ostili al Pd, i «sette nani». I nomi in circolazione — talvolta all’insaputa degli interessati — sono però di più: tra i quindici e i venti. Una di loro, la combattiva senatrice Monica Cirinnà, ha protestato per la scarsa sensibilità di Zingaretti nei confronti delle aspiranti donne. Massimo D’Alema ha negato di aver mai ipotizzato una propria candidatura specificando che si occupa d’altro «molto felicemente». Giovanni Caudo — presidente del terzo municipio di Roma, già assessore all’urbanistica con Ignazio Marino — si è invece candidato a chiare lettere e ha subito ricevuto un rabbuffo dal direttore del Messaggero Massimo Martinelli, che, in un editoriale, gli ha rinfacciato i trascorsi legami con il costruttore Parnasi, il coinvolgimento in un’inchiesta giudiziaria per le Torri dell’ Eur e di essere «molto chiacchierato» per le «vicende urbanistiche della Bufalotta». Sponsor di Caudo — secondo il giornale di cui è proprietario il più importante costruttore della capitale, Franco Caltagirone — sarebbe Goffredo Bettini. Il quale però ha prontamente negato ogni coinvolgimento nelle baruffe romane.
Questo sono diventate le primarie da quando — molto tempo fa — si sono trasformate in un meccanismo di selezione che non risponde a norme precise ed è, anzi, regolato da scelte capricciose e imprevedibili. Qualcuno, da Forza Italia, suggerisce in queste ore che tale metodo venga adottato anche a destra in vista delle elezioni milanesi. Sarebbe curioso se proprio adesso, fuori tempo massimo, si giungesse a una sorta di «unità nazionale delle primarie». Curioso e dagli esiti non scontati .