Qiu Xiaolong: «La sorveglianza non ci salverà»

Milioni di copie vendute, tradotto in venti paesi, Qiu Xiaolong (nato a Shanghai e da tempo residente a St Louis negli Usa) ha saputo creare una serie poliziesca di grande successo di cui l’ultimo tassello è Processo a Shanghai in uscita per Marsilio domani (pp. 272, euro 18, traduzione dall’inglese di Fabio Zucchella).

Il personaggio principale dei romanzi è l’ispettore capo Chen Cao, «enigmatico» funzionario e poliziotto nonché poeta, traduttore e raffinato buongustaio (caratteristica che negli Usa ha fatto accostare Chen a Montalbano di Camilleri): è disincantato rispetto all’evoluzione politica cinese ma finisce suo malgrado per fare carriera. Spirito romantico, non disdegna l’esercizio del coltivare amicizie importanti e collezionare affinità elettive che finiscono spesso per garantirgli la protezione in indagini rischiose perché puntate contro i vertici del Pcc.

Oltre il carisma della sua figura, c’è poi la grande capacità di Qiu Xiaolong di concepire trame con un ritmo adeguato al poliziesco. E la maestria nell’inserire le vicende in un contesto cinese sempre cangiante. In questo senso, la vera indagine dell’ispettore Chen è nei confronti del suo paese all’interno del quale sembra cercare un proprio posto nel tentativo costante di comprenderne i cambiamenti. Dalla misteriosa morte della compagna Wang fino a Processo a Shanghai Chen ha indagato via via misteri che hanno segnato la recente storia cinese, dall’eredità del maoismo alle lotte interne al partito, dall’ascesa dei «principini» (l’aristocrazia del Pcc) al dilagare delle caratteristiche digitali del paese fino alla questione «calda» del sistema giudiziario, affrontata proprio nell’ultimo romanzo.

Qui, Chen si ritrova in convalescenza poco dopo essere stato nominato Direttore del comitato per le riforme giudiziarie. «Convalescenza» significa vivere in una sorta di limbo a causa di una passata indagine che ha infastidito i piani alti. Questa volta, però, Qiu Xiaolong non lascia solo con i suoi fantasmi l’ispettore. Gli associa un progetto di scrittura sul giudice Dee, magistrato di epoca Tang incappato in un caso molto simile a quello del quale Chen, seppure in modo clandestino, finisce per occuparsi. La protagonista della sua inchiesta è Min, una donna che organizza cene private per membri influenti del Pcc e che si ritrova accusata di omicidio a causa di terribili caratteristiche del sistema giudiziario cinese. Il finale è aperto e lascia intuire altre tappe per questa indagine, durante la quale Chen incontrerà anche Jin, una spigliata e piuttosto arguta dipendente del suo ufficio.

Il sistema giudiziario cinese è senza dubbio uno dei punti più deboli della Cina. Crede che Xi Jinping possa essere un ostacolo per una riforma o in realtà non importa chi sia al potere?
Per un periodo davvero breve, in Cina c’è stato un dibattito intorno alla seguente questione: è più importante il Pcc o la legge? I cinesi sapevano bene quale sarebbe stata la risposta tanto che la domanda venne tacciata di essere «borghese». In pratica, parafrasando Auden, il Pcc sostiene: la legge sono io. Per quanto riguarda Xi, da quando è al potere le cose sono peggiorate e, in questo caso, ha una rilevanza indiscutibile il fatto che sia lui il numero uno. Il presidente della corte suprema cinese l’ha sostenuto in tutta chiarezza: dobbiamo resistere a tendenze occidentali erronee come la democrazia costituzionale e la separazione dei poteri. Per questo ho scritto Processo a Shanghai: senza l’indipendenza della magistratura, l’ispettore Chen è costretto a superare numerosi problemi

Nel suo libro lei descrive lo «shuanggui» un sistema di detenzione senza capo di imputazione e possibilità di difendersi per l’imputato, solitamente riservato ai funzionari ma ormai purtroppo sempre più utilizzato anche per altre persone…
Questa pratica solitamente colpisce funzionari per motivi disciplinari e prevede l’utilizzo di hotel per un periodo di tempo, che varia da situazione a situazione. Non si tratta di una procedura legale, generalmente è usata per coprire alcuni misfatti in attesa di sistemare tutto finché l’imputato non arrivi ad ammettere le proprie colpe in un processo farsa. Ormai questa «abitudine», seppure chiamata in maniere diverse, colpisce anche persone normali sia cinesi sia straniere, ad esempio giornalisti. In Processo a Shanghai tale tipologia di detenzione viene applicata a una donna a causa di due potenziali connessioni con funzionari al vertice del partito.

Quanto la leadership di Xi Jinping ha cambiato la Cina?
Tanto. Per cominciare ha abolito il limite dei due mandati presidenziali che, ironicamente, quando venne stabilito (da Deng Xiaoping nel 1982, ndr) fu salutato come una riforma importante per il Paese. Dato che sul web Xi viene apostrofato «imperatore», la parola è stata addirittura censurata. Con Xi il controllo ideologico è aumentato così come sono divenuti più numerosi gli arresti per reati di opinione. Un businessman di nome Ren Zhiqiang è stato sottoposto a shuanggui per aver scritto un articolo dove denunciava le mire autoritarie di Xi. Anche la politica estera cinese ha subito una grande metamorfosi. Con Deng, Pechino aveva scelto un basso profilo; oggi la politica estera cinese è assai più aggressiva. Tutto ciò è qualcosa che preoccupa non poco anche l’ispettore Chen del mio romanzo. Comprese alcune posizioni guerrafondaie di quotidiani nazionalisti come il Global Times.

In «Processo a Shanghai» è presente il sistema di sorveglianza cinese basato su videocamere e riconoscimenti facciali. Qual è la sua opinione in proposito?
Durante i miei ultimi viaggi in Cina ho dovuto prendere diverse precauzioni come mai mi era accaduto prima. Di volta in volta, ho ricevuto alcuni avvisi non proprio rassicuranti – «sappiamo che hai parlato con quel giornalista italiano a Pechino», «sappiamo cosa hai affermato in quel convegno a Suzhou».
Tra videocamere e Big data, ogni cinese sa di essere osservato 24 ore su 24. Posso fare un esempio che risale all’anno scorso, proprio durante il mio soggiorno a Shanghai. Ero andato a trovare un amico australiano, stavamo parlando sul balcone insieme ad altre persone, quando un drone si è avvicinato e ha cominciato a ondeggiare di fronte a noi finché non siamo rientrati. L’episodio ho voluto inserirlo all’interno del romanzo la cui vicenda è resa ancora più complicata per Chen – lui indaga in incognito – proprio a causa di questo pervasivo dispositivo di controllo che va ben oltre 1984.

Ritiene che i salti mortali che l’ispettore Chen deve compiere per non finire nei guai siano un comportamento comune da parte di molti cinesi che tentano di cambiare le cose dall’interno del sistema?
Salti mortali è il termine esatto ed è una pratica comune a diversi funzionari. Solo che Chen, al contrario della maggior parte di loro, non ha ambizioni o interessi personali. Rimane un idealista, sebbene finisca per disilludersi in più occasioni. Nonostante ciò, decide di assumere su di sé molti rischi e responsabilità nella speranza di riuscire a realizzare quanto ritiene più giusto come poliziotto in nome del popolo cinese e non del governo o del partito comunista.

Dal primo romanzo con protagonista Chen lei ha affrontato numerose zone oscure della Cina. Quale altro aspetto ha colpito la sua immaginazione al punto di individuarlo come potenziale scenario per un nuovo episodio?
Sì, è andata proprio così. Nel corso del tempo, ho provato a raccontare anche quanto stava succedendo in Cina perché credo che, al di là della soluzione di un enigma – di un omicidio, nel nostro caso – conti molto il contesto nel quale gli eventi succedono e si sviluppano. Non sorprenderà sapere che il prossimo episodio di Chen sarà ambientato durante i giorni del lockdown a causa del coronavirus. E, in questo caso, il contesto sarà determinante perché tutto l’apparato di sorveglianza di cui abbiamo parlato fino a ora ha assunto un ruolo ancora più rilevante in quel periodo, fermo restando i gravi ritardi delle autorità nel comunicare quel che stava accadendo.

Si dice che i cinesi guardino al passato per leggere il futuro. Cosa pensa di questo rapporto con il tempo?
È una verità, lo dimostrano anche alcuni comportamenti dei leader cinesi, da Mao fino a Xi. O tutte le riflessioni intorno alla rivoluzione culturale. Proprio per questo rimando continuo tra passato presente e futuro, Processo a Shanghai in origine era concepito in due parti: da un lato l’investigazione di Chen e, dall’altro, l’indagine del giudice Dee (magistrato di epoca Tang, ndr) scritta proprio da Chen. I due casi viaggiano in parallelo e presentano le stesse difficoltà per i due «poliziotti», mentre in entrambi i casi ci si rivolge al passato per cercare di comprendere il futuro.

 

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