Ho scritto che nell’alleanza per la promozione turistico-culturale stipulata tra Siena, Firenze e Perugia, se essa si limitasse principalmente a uno scambio per facilitare la visita di alcuni musei delle tre città, Siena si troverebbe svantaggiata. Preciso ancora che questa disparità è oggi evidente solo nell’organizzazione dei musei storici e che sarebbe del tutto errato attribuirla a altri ambiti, pure relativi al patrimonio artistico. Chi ha governato la città – la “sinistra” come si usa dire – ha enormi meriti e ha saputo coinvolgere tutte le istituzioni in grado di collaborare a iniziative e programmi di straordinario rilievo. Non sto a elencare occasioni e realizzazioni ben note. Dal concorso per il restauro vinto da Guido Canali alle mostre che hanno riscritto la storia dell’arte in Siena, dal protocollo d’intesa per il trasferimento (poi abbandonato) della Pinacoteca nell’antico Ospedale ai momenti espositivi in esso già costituiti. È ora che questa linea si è interrotta e si stanno imboccando strade riduttive, che porterebbero a gestire gli spazi del Santa Maria come un contenitore buono per cento usi anziché in coerenza con i caratteri che ne segnano (da secoli) la vocazione. Ad avvalorare i miei ovvi appunti sulla questione Pinacoteca leggo, a conforto, un’acuta pagina dell’itinerario raccontato da Flavio Cuniberto nel suo Viaggio in Italia (Neri Pozza, Vicenza, 2020), un libro che insegna un modo di viaggiare per cogliere immagini e reliquie al di fuori degli usuali circuiti. Ebbene: uno dei capitoletti s’intitola proprio Perugia-Siena. Un confronto. E rammenta la celebre definizione che di Perugia dette André Suarès: «une Sienne paysanne», una Siena contadina cioè. Per alludere ad una città più rozza e popolaresca, anche se ricca di capolavori eccelsi. Probabilmente la definizione era sballata, ma quel che conta è la percezione che Suarès ebbe. In realtà Perugia è stata una città dominata dalla borghesia, come Siena non lo è stata mai. Una città percorsa da fremiti laici battaglieri e da fervidi slanci religiosi. Franco Cardini l’ha qualificata come città che si è avvalsa di una solida tradizione massonica: il che non contrasta affatto con la temperatura spirituale di tante sue esperienze e con l’apparto di residenti di spicco, fino a Aldo Capitini. Tanto domina a Perugia una febbre imprenditoriale progressista, quanto Siena appare agli occhi di Cuniberto «una città ferma agli ultimi decenni dell’Ancien Régime nella forma specifica del Granducato». Il quale non esita a veder riflesso nella sistemazione delle due grandi pinacoteche le diversità di due culture della tutela. La Galleria Nazionale dell’Umbria – retta ora con polso fermo e rigore filologico dal senese Marco Pierini – «è una macchina efficiente, spaziosa e bene amministrata», mentre «a Siena regna un’atmosfera démodée, che non è quella fastosa della casa-museo, del museo d’epoca (come lo Stibbert a Firenze), ma è semplicemente quella di un’istituzione poco aggiornata, che tende a invecchiare». «Pochi i visitatori – è l’affranto bilancio –, magri gli introiti, e, con una sciatteria che appare scandalosa». È un giudizio reciso, che non condivido, ma qualcosa di vero c’è. Pensare che è andata a finire nella lista della quarantina di sedi che costituirebbero il cosiddetto Polo Museale Toscano! Che tutto è fuorché un polo dotato di qualche coerenza. È vero che questa lateralità conferisce alla Pinacoteca senese una «patina antiquata-tradizionale», «uno charme impagabile». Ma dal diario di un visitatore così sensibile ribadisco un’indicazione di altro taglio. E continuo a immaginare – sognare – la sistemazione della Pinacoteca, primamente ordinata dal giovane Cesare Brandi, nelle sale del Santa Maria della Scala. Eventualmente col suo nucleo più vasto e tipico se non per intero. In un luogo unico, che darebbe alle opere il respiro che meritano ospitandole in una dimora dai caratteri inconfondibili.
Roberto Barzanti