Proprio ieri Enrico Berlinguer avrebbe compiuto 98 anni e il suo più giovane cugino Sergio Siglienti, che ne aveva compiuti 94 una settimana fa, lo ha, come suol dirsi, raggiunto in cielo. E vale la pena, allora, ricordare una delle saghe più straordinarie dell’Italia repubblicana. La biografia di Berlinguer scritta da Peppino Fiori racconta che fu il cuginetto Sergio a portare Enrico sulla canna della bicicletta fino alla casupola nella campagna di Sassari in cui una riunione clandestina di comunisti gli consegnò la sua prima tessera del Pci. Sergio aspettò fuori perché lui, come suo padre Stefano, era azionista. Sua madre era Ines Berlinguer, sorella di Mario, padre di Enrico. Mario Berlinguer e Stefano Siglienti partecipano insieme al governo Bonomi nel 1944: il primo fu commissario all’epurazione, il secondo ministro delle Finanze. I Berlinguer, i Siglienti, i Segni e i Cossiga, tutti imparentati tra loro, fanno di Sassari una delle maggiori concentrazioni di intelligenza politica della storia italiana: producono il leader del Pci, due capi dello Stato, un premier, un ministro, due grandi banchieri, un leader provvisorio come Mario Segni. Stefano Siglienti, chiusa la parentesi politica, prende la guida dell’Imi, la banca decisiva della ricostruzione, che rimarrà per decenni la grande rivale di Mediobanca. Sergio Siglienti si impiega alla Banca commerciale italiana, di cui diventa direttore generale e poi ad. Negli anni ’90, dopo la privatizzazione maldestra, Comit finisce nell’orbita di Mediobanca e Siglienti capisce che è ora di cambiare aria. Il suo duello con Cuccia assume toni e ritmi da cartone di Tom e Jerry. Siglienti si sposta alla guida dell’Ina-Assitalia, ma poco dopo le Generali, nell’orbita Cuccia, scalano anche l’Ina. Siglienti si ritira, affida a un libro (Comit, una privatizzazione molto privata) il suo velenoso (e profetico) racconto di un sistema in cui nelle banche gli imprenditori debitori comandavano troppo.
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