Il colloquio Arriva per Adelphi «L’albero intricato», del divulgatore che aveva previsto la pandemia. E che ora rigetta le ipotesi di un complotto cinese sul virus e avverte: «La prossima minaccia? L’abuso di antibiotici»
di Paolo Giordano
L’autore di «Spillover» racconta il biologo Carl Woese «Fu il più grande del Novecento. Poi scriverò su Covid»
Un mercato cittadino della Cina meridionale: c’era scritto. Eppure Quammen non è un profeta. Il valore predittivo di Spillover derivava dalla quantità di ore passate in giro per il mondo a discutere con i maggiori esperti di virus e zoonosi, fra cui i ricercatori dell’istituto di virologia di Wuhan che si trova adesso nella tempesta politica e mediatica.
«Hai sentito della cancellazione dei finanziamenti all’istituto?» mi chiede subito, come se i suoi pensieri fossero tutti concentrati lì. «Qualche conservatore ha detto sbrigativamente: “Stiamo donando 3,7 milioni di dollari l’anno al laboratorio di Wuhan da cui è partito il virus”, e il giorno dopo Trump ha cancellato la sovvenzione. Ma quei soldi servivano anche a finanziare un’associazione no-profit, la EcoHealth Alliance, che studia proprio i rischi pandemici nelle zone zoonotiche. Gli scienziati di EcoHealth Alliance sono quelli che mi hanno permesso di scrivere Spillover, con loro ho visitato le grotte in Cina, ho cercato i pipistrelli frugivori in Bangladesh, sono andato nella foresta centrafricana per capire Ebola».
Sandro Modeo ha trattato diffusamente su «corriere.it» l’affaire Wuhan, l’ipotesi perniciosa del laboratorio, ma Quammen ci tiene a ribadirmi gli argomenti chiave: «Ci sono state due accuse rivolte all’istituto. La prima è che questo sia un virus ingegnerizzato. I più importanti biologi evoluzionisti che conosco, tra cui Edward Holmes in Australia, Kristian Andersen in California e Andrew Rambaut in Scozia, hanno pubblicato a gennaio, insieme ad altri, un articolo su “Nature Medicine” dicendo che, da quello che vedevano, il virus non è ingegnerizzato. Perciò, da una parte abbiamo un articolo pubblicato su “Nature”, dall’altra nessuno studio accreditato. Io non sono un biologo, non so analizzare un genoma, ma so guardare le fonti e distinguere tra ciò che è supportato da dati e autorevolezza e ciò che è solo un pettegolezzo eccitante. I pettegolezzi eccitanti piacciono alle persone, così come piace lo zucchero, ma sono malsani allo stesso modo. La seconda accusa è che il virus sia sfuggito al laboratorio mentre venivano condotti degli studi scellerati sui pipistrelli. Innanzitutto quegli studi scellerati sono stati cruciali per capire da dove provengono i coronavirus e hanno contribuito allo sviluppo del Remdesivir (oggi tra le cure per i malati di covid-19, ndr). È teoricamente possibile che un virus sfugga a un laboratorio? Sì. Esiste qualsiasi evidenza che sia successo? No».
Su Luc Montagnier, Quammen scrolla le spalle alla webcam. «Non ne ho idea. A volte uno scienziato che ha avuto molto successo può finire per dire delle sciocchezze. Non chiamerei Montagnier un grande scienziato, ci sono altri che avrebbero meritato il Nobel più di lui, ma di certo è eminente e questo rende la sua voce sonora».
Senza dubbio, tra gli scienziati che Quammen considera «grandi» e ai quali forse sarebbe spettato il Nobel, c’è Carl Woese. Il suo nome è sconosciuto ai più, almeno fra i non addetti alla microbiologia, ma per inquadrarne la portata basta forse menzionare che a Carl Woese si deve la scoperta, accanto ai due domini noti da tempo, i batteri e gli eucarioti (a cui apparteniamo anche noi), di un terzo dominio prima sconosciuto, quello degli «archei». Esseri minuscoli e strani che spesso vivono in condizioni estreme, come i deserti di sale o i vulcani sottomarini. Woese, insomma, ha aggiunto un capitolo intero ai libri di scienze naturali, nonché alla nostra conoscenza di come la vita si è evoluta sulla Terra, dagli esordi fino a qui.
La sua carriera e la sua vita fanno da ossatura a L’albero intricato. Una nuova e radicale storia della vita, il libro di Quammen in uscita per Adelphi, che è poi anche la ragione principale per cui stiamo avendo questa conversazione, io da casa mia e lui dalla sua a Bozeman, Montana. L’albero intricato si colloca nel filone del mondo raccontato attraverso la genetica, di cui fanno parte altri titoli importanti come Il gene egoista di Richard Dawkins, Il gene di Siddhartha Mukherjee e Il pollice del violinista di Sam Kean, ma assume un’angolazione inedita, anche grazie alla centralità del personaggio di Carl Woese.
«Mi piace scrivere libri su costellazioni di idee. Ne seleziono due o tre che mi sembrano importanti, interessanti, poi ne cerco le connessioni. Se sono connessioni che nessuno ha mai tentato, capisco di avere in mano un libro che nessuno scriverà. A partire dai concetti mi sposto quindi sulle persone, sugli scienziati. Le persone vogliono leggere di persone. Carl Woese è il più importante biologo del ventesimo secolo di cui non avete mai sentito parlare».
Se Spillover raccontava i salti di patogeni pericolosi, come i coronavirus, da specie animali all’uomo, L’albero intricato racconta i salti che dei pezzi di codice genetico possono fare tra una cellula e l’altra, tra batteri diversi e perfino tra specie distinte. Si chiama «trasferimento genico orizzontale». Detto così non suscita forse lo stupore che dovrebbe, ma l’idea che dei geni possano trasferirsi da un organismo all’altro, essere incorporati nel genoma altrui e poi trasmessi alla prole, e che questo sia avvenuto di continuo nell’evoluzione della vita sulla Terra, ha fatto vacillare certi dogmi associati alla selezione naturale.
«L’evoluzione per selezione naturale si basa sulle variazioni nella popolazione: all’interno di una popolazione un individuo ha dei caratteri genetici leggermente diversi da un altro e questo crea una competizione riproduttiva fra i due. Il carattere più favorevole sopravvive nelle generazioni successive mentre quello più debole decade. Si pensava che le variazioni avvenissero esclusivamente per mutazione del codice genetico. Il trasferimento orizzontale ha rotto questo paradigma: esiste un’altra sorgente di variazioni. I geni vengono scambiati. Quelli di un rettile possono finire in un volatile. Quelli di un batterio possono finire in un altro batterio. Oppure in un essere umano».
Gli alberi cosa c’entrano? Per secoli i biologi hanno rappresentato l’evoluzione delle specie come un albero. Darwin stesso fece uno schizzo piuttosto brutto della sua versione arborea dell’evoluzione. Da un tronco comune e ignoto (una forma di vita primordiale), gli esseri viventi cominciarono a differenziarsi: i batteri su un ramo e gli eucarioti su un altro. Poi le piante, i funghi, i protisti, gli animali: a ognuno il suo ramo, che a sua volta si divideva in altri. Carl Woese aggiunse all’albero un terzo ramo portante, quello degli archei. Così l’«albero della vita» si sviluppava, nella concezione classica, sempre verso l’alto e i rami, come negli alberi veri, non potevano mai convergere. La scoperta del trasferimento genico orizzontale ha complicato di parecchio la figura, fino a renderla impossibile da rappresentare. «L’albero della vita non è un albero. I rami s’intrecciano e si fondono in continuazione». È piuttosto una rete, spiega Quammen nel libro (un rizoma, avrebbero forse detto Deleuze e Guattari): Parti di alcuni genomi esistevano all’interno di altri genomi prima di diventare altri genomi ancora, compresi i nostri. Era tutto un groviglio. Era un gran casino. Era un piatto di spaghetti. Era meraviglioso.
L’albero intricato è per certi versi più intricato di Spillover, richiede una maggiore pazienza e di digerire un po’ di teoria. Ma la ricompensa che offre, come spesso accade, è commensurata allo sforzo. Parte della ricompensa è una messa in discussione, insieme all’albero, della nozione stessa di specie. «Cos’è una specie se i geni possono passare liberamente da una all’altra?, se i confini non sono invalicabili come si pensava ma indefiniti, porosi? Le specie assomigliano più alle nuvole che ai rami di un albero. Se da lontano guardi due nuvole, puoi vederle ben separate. Ma se ci passi attraverso in aereo, non saprai dire dove finisce una e inizia l’altra».
Il trasferimento genico orizzontale non manca, tuttavia, dei suoi effetti collaterali. Per esempio il modo in cui i batteri sono in grado di scambiarsi materiale genetico, informazione, sviluppando resistenze incrociate agli antibiotici. Oggi l’Organizzazione mondiale della sanità considera la resistenza agli antibiotici una delle più grandi minacce alla salute pubblica del ventesimo secolo: eccolo, il nuovo anatema di Quammen.
«Anatema? Hai scelto una parola curiosa. Io lo chiamo avvertimento. I batteri multiresistenti rischiano di diventare un problema grave molto in fretta. Uno stafilococco può impiegare anni a sviluppare una resistenza alla meticillina, ma potrebbe passare in un istante quella resistenza allo streptococco. E lo streptococco potrebbe viaggiare in aereo il giorno successivo, dentro un ospite, fino a Hong Kong e lì trasmettere la resistenza alla salmonella. È tempo di capire che dobbiamo smettere di utilizzare gli antibiotici in modo indiscriminato, come negli allevamenti, per far prendere peso ai polli e ai bovini. La multiresistenza batterica uccide migliaia di persone ogni anno, ma potrebbero morirne centinaia di migliaia per infezioni che venivano curate efficacemente nel 1940. Sarebbe un passo indietro drammatico. Purtroppo, in molti non hanno chiara neppure la differenza tra un virus e un batterio».
Nell’Albero intricato si parla di laboratori che conservano campioni di batteri e virus micidiali. Qualcuno pensa che un disarmo microbiologico sarebbe necessario. Il che ci riporta ai virus ingegnerizzati e al laboratorio di Wuhan da cui siamo partiti.
«Una decina di anni fa, Ron Fouchier stava lavorando su una forma di influenza aviaria molto letale ma non contagiosa da umano a umano. Voleva capire quali mutazioni avrebbero reso il virus trasmissibile per via aerea. In una ricerca simile ci sono dei possibili vantaggi e dei rischi. Chi deve decidere? Io credo che decidere spetti ai cittadini, guidati dagli scienziati, perché quella ricerca è finanziata con fondi pubblici».
Ma hai appena detto che i cittadini non sanno la differenza tra un virus e un batterio… Come si fa allora?
«Continuando a fare quello che stiamo facendo adesso: informando le persone, rendendole più consapevoli, un centimetro per volta. E intrattenendole, nel frattempo. Che è poi il motivo principale per cui scrivo libri sugli scienziati. Oltre al bisogno di guadagnarmi da vivere, ovviamente».