Autorevolmente in un intervento sul Financial Times, Mario Draghi ha sostenuto che è l’ora di agire come se si stesse in guerra quando, secondo la storia, gli Stati si sono finanziati con l’aumento dei debiti pubblici. Occorrono immediati sostegni di liquidità per sostenere la capacità produttiva e proteggere la popolazione dalla perdita di posti di lavoro. Le banche devono prestare a costo zero e, poiché in tal modo svolgono un ruolo di ausilio alle politiche pubbliche, i governi devono introdurre garanzie statali sui prestiti e sugli «scoperti». Il ruolo dello Stato è cruciale. Sono, queste, misure urgenti che divergono nettamente dalla linea dell’austerità e pure da quella, benché non rigoristica, sostenuta dallo stesso Draghi in situazioni di normalità. Sono lontane ormai le affermazioni sull’equilibrio dei conti pubblici e sulla completa sostenibilità dei debiti. Il decreto «Aprile» del governo italiano dovrebbe darsi carico anche di avviare interventi strutturali nell’economia in funzione del rilancio, agendo su investimenti, produttività e lavoro, con la prospettiva del nuovo mondo che si presenterà, una volta cessata la crisi, «il giorno dopo». Sono importanti i paralleli storici: dall’azione del New Deal di F. D. Roosevelt al piano Marshall di Harry Truman. Ma le aperture sul debito non possono non essere accompagnate da ciò che si sarà chiamati a fare quando sarà cessata la tempesta perfetta; così come la spinta alle banche perché eroghino i prestiti alle indicate condizioni, assistiti da garanzie pubbliche, non potrà non essere accompagnata da interventi ancor più efficaci rispetto a quelli sin qui compiuti, sulla regolamentazione dei finanziamenti deteriorati. Tutto ciò non può che avvenire in un coordinamento tra i singoli Paesi dell’area e le istituzioni comunitarie. Se manca questo pilastro, se permangono rigidità inaccettabili, allora l’intero impianto dell’azione di contrasto in questa fase e della preparazione della ricostruzione rischia di essere fondato sull’acqua perché resterebbero in vigore, alla fine, soltanto limiti e vincoli, sia pure temporaneamente derogati, ma non si avrebbe un’innovazione nelle politiche per la ripresa, mentre si profila una recessione che potrebbe superare il 5%. La distinzione che si è registrata con la lettera dei nove Paesi (tra cui Italia, Francia e Spagna) al Consiglio europeo rispetto agli altri Paesi che si ritengono «frugali» potrebbe essere foriera, se l’Ue non risponde adeguatamente promuovendo un’ampia convergenza, di un’Europa e anche di un’Euroarea a geometria o velocità variabili. Sarebbe la fine di una costruzione eretta con troppa fretta e fondandosi sull’errata convinzione che le «salmerie» sarebbero seguite: fuor di metafora, all’Unione monetaria avrebbe fatto seguito automaticamente quella fiscale e di bilancio. Cosa che non si è purtroppo verificata, come non pochi avevano previsto.
Angelo De Mattia