Il piano Whirlpool alla Sec “Via da Napoli nel 2020”

In un documento all’autorità americana di Borsa la conferma: “Stop alla produzione”
di Marco Patucchi
ROMA — Riesplode il caso Whirlpool. Non solo perché i sindacati tornano a chiedere con forza al governo di convocare, come promesso, un tavolo sulla crisi della fabbrica napoletana. Ad agitare ulteriormente il clima, proprio alla vigilia dell’assemblea dei lavoratori in calendario oggi, un documento inviato dalla multinazionale americana alla Sec il 31 ottobre scorso, ovvero un giorno dopo l’intesa con il governo italiano sulla permanenza a Napoli. «L’accordo preliminare della società di vendere lo stabilimento a un acquirente terzo — si legge nella nota che integra precedenti comunicazioni informando sulle “ulteriori discussioni con i sindacati e il governo italiano” — rimane in vigore, fatti salvi gli effetti di questi ulteriori negoziati. La società intende completare la sua ristrutturazione e cessare la produzione nell’impianto nei prossimi mesi con uscita prevista per il 2020». E, a scanso di equivoci, si chiarisce che la società continuerà la produzione solo «nel breve termine».
A onor del vero Whirlpool non ha mai annunciato una retromarcia dalla decisione di abbandonare lo stabilimento partenopeo, ribadendo in ogni passaggio della trattativa (compreso il compromesso di fine ottobre) la non sostenibilità economica della produzione di lavatrici di alta gamma e indicando come unica possibilità di sopravvivenza della fabbrica la riconversione e cessione. Nella comunicazione alla Sec si ricorda, appunto, che è stato «stipulato un accordo preliminare per vendere lo stabilimento produttivo di Napoli ad un acquirente terzo», alludendo evidentemente alla Prs di Giovan Battista Ferrario con il suo piano per la produzione di container frigo.
Dopo tanti mesi di altissima tensione per i 420 lavoratori, il 30 ottobre scorso lo stop alle procedure di vendita e di licenziamento collettivo era stato salutato come una svolta: «Voglio darvi una buona notizia — l’annuncio agli operai, in favore di telecamera, del ministro dello Sviluppo, Stefano Patuanelli — è un risultato ottenuto grazie al vostro impegno, alla manifesta volontà di lavorare nello stabilimento. Su questa vertenza il governo ci ha messo la faccia, ora ci sono le condizioni per sederci al tavolo con le parti sociali e provare a trovare una soluzione industriale, anche con un impegno del governo per lo stabilimento». Indiscutibile il successo degli operai, ma quel tavolo nei mesi successivi è rimasto vuoto (a parte un incontro interlocutorio a dicembre) mentre, come indicato chiaramente da Whirlpool nel documento per la Sec, dietro l’angolo resta la cessione della fabbrica. Tra i lavoratori c’è chi azzarda il mese di marzo, quando scadranno gli ammortizzatori sociali, quale momento ideale per la multinazionale di ribadire l’addio a Napoli. «Il tempo passa nell’inerzia e si prepara la tempesta perfetta — dice Barbara Tibaldi segretaria nazionale Fiom-Cgil — anche perché gli ammortizzatori scadono in tutti gli stabilimenti italiani. Per questo chiediamo all’azienda di anticipare la discussione sul piano industriale complessivo del gruppo. L’unico stabilimento che marcia davvero è quello di Varese».
Oggi a Napoli i lavoratori si riuniscono in assemblea e c’è aria di mobilitazione. In una nota Fim, Fiom e Uilm chiedono a Patuanelli di convocare le parti il 20 gennaio: «Non accettiamo né la chiusura di Napoli né il progressivo disimpegno della multinazionale. Il governo la induca a rispettare gli impegni assunti con sindacato e istituzioni». Sembra di essere tornati a quando il Paese tratteneva il respiro per il destino di una fabbrica simbolo del declino industriale italiano. «Da allora tutto tace», dicono i sindacati. Un silenzio colpevole.
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