di Massimo Franco
Era prevedibile che non ci sarebbe stata mediazione. Per Matteo Renzi, accettare di ridiscutere la riforma elettorale significherebbe entrare in un cunicolo di trattative con la minoranza, dalle quali riemergerebbe come minimo indebolito. Per i suoi avversari, peraltro ancora divisi, il problema è se rompere quando la legge arriverà in Parlamento; oppure se rientrare in una strategia della quale hanno accreditato la pericolosità. La direzione di ieri ha confermato insomma che il presidente del Consiglio sta vincendo, sebbene non abbia ancora vinto.
E l’Italicum rischia di essere approvato da una maggioranza monca. Riforme fatte dal solo Pd «e senza un pezzo di esso» sono indebolite, avverte il capogruppo alla Camera, Roberto Speranza. «Oggi il rischio enorme è la spaccatura interna». I margini per evitarla, a oggi, rimangono esigui. Tra l’altro, quando l’ex segretario Pier Luigi Bersani motiva le sue perplessità sostenendo che «qui è in gioco la democrazia», l’ipotesi di un compromesso diventa inverosimile: a meno che uno dei due ceda. Questo rende la discussione insieme avvelenata e senza apparente via d’uscita.
Non c’è accordo, non c’è rottura formale, ma prosegue una marcia vittoriosa del premier circondata da un’eterna precarietà politica. Per il partito perno del sistema è l’ennesima tappa di una guerra sorda e tuttora non finita. Più si avvicina il «sì» all’Italicum, che per Renzi dovrebbe arrivare a fine maggio, più per i suoi oppositori la fronda diventa una sfida dalla quale possono uscire seriamente sconfitti. Bisognerà vedere che cosa succede dopo le elezioni regionali di fine maggio; e quale sarà lo sviluppo delle inchieste giudiziarie che a livello locale stanno falcidiando molti esponenti locali del Pd.
Se Renzi riuscirà a riprendere un qualche dialogo con Forza Italia, i numeri parlamentari ritornerebbero a livelli tali da garantirgli un margine di sicurezza, soprattutto al Senato. Ma se non accadrà, la vera incognita riguarda la consistenza e la compattezza del fronte trasversale dei «no» alla riforma elettorale e del bicameralismo. La domanda, alla quale oggi non c’è risposta, è se potrebbe saldarsi in funzione antigovernativa e creare problemi a palazzo Chigi quando il Senato voterà la propria riforma a maggioranza assoluta dei membri.
Per quanto irrituale, l’appello di FI a chi nel Pd si oppone alle riforme renziane è un sintomo. Lo è altrettanto l’ipotesi, avanzata da alcuni esponenti della minoranza, di ricorrere al voto segreto contro l’Italicum se il premier non accetterà una mediazione: un’eventualità che ha irritato Renzi e lo ha fatto parlare di «ricatto inaccettabile». Ma se passa la riforma elettorale, sarà più facile far pesare il deterrente del voto anticipato per piegare gli oppositori. Chiedere la fiducia su questo tema sarebbe a dir poco inelegante. Eppure continua a essere una possibilità da non scartare affatto.