di Massimo Gaggi
Non si tratta solo dell’imbarazzante condizione di Washington che a Tikrit, in Iraq, combatte a fianco di una coalizione dominata dalle forze iraniane mentre in Yemen appoggia la coalizione sunnita che attacca i ribelli filo iraniani e sfida Teheran. Con gli ayatollah che ora avvertono che si rischia una conflitto generale nel Golfo. Non è la prima volta che, in un mondo così frammentato, una grande potenza si ritrova alleata di un altro Paese su un fronte, in conflitto su un altro. Ma se il disegno di Barack Obama era quello di siglare un accordo con Teheran sul nucleare per poi spingere l’Iran a giocare un ruolo di stabilizzazione in Medio Oriente a fronte delle profonde fratture emerse nel mondo sunnita, quello che sta accadendo in Yemen e anche a Tikrit probabilmente costringerà la Casa Bianca a rivedere qualcosa. Proprio nelle ore in cui a Losanna, in Svizzera, il segretario di Stato Usa John Kerry e il suo collega iraniano, Zarif, mettevano a punto il sospirato accordo sul nucleare che dovrebbe vedere la luce nei prossimi giorni, l’«escalation» in Yemen ha cambiato radicalmente lo scenario. La conquista del potere da parte dei ribelli Houthi, appoggiati dall’Iran, ha provocato una reazione durissima e massiccia dell’Arabia Saudita, dietro la quale sembra essersi ricompattato l’intero mondo sunnita. Questo ha consentito al nuovo sovrano wahabita di Riad non solo di lanciare un’offensiva aerea massiccia sul Paese vicino e di prepararne una da terra e dal mare, ma anche di mettere insieme a tempo di record una coalizione assai estesa di Paesi. A bombardare ci sono anche Kuwait, Qatar, Bahrein, Emirati Arabi e Giordania mentre diverse altre nazioni, dal Marocco al Pakistan al Sudan sono pronte a intervenire e l’Egitto di Al Sisi ha annunciato un’offensiva via mare con sbarco ad Aden. Gli Stati Uniti hanno dichiarato il loro appoggio all’offensiva della coalizione: non partecipano alle missioni militari, ma assicurano supporto logistico e un sostegno di intelligence. Ritrovatasi improvvisamente sotto scacco, Teheran ora minaccia un conflitto generale. Minacce sulla carta, certo, ma sopravvivrà il fragilissimo negoziato nucleare a questi sviluppi drammatici? Usa e Iran cooperano ancora a Tikrit, è vero, ma nemmeno qui le cose vanno come previsto: per ottenere l’intervento dei bombardieri americani, il premier iracheno Abadi, che è sciita ma guida un governo di coalizione, ha chiesto alle milizie di Teheran di fare un passo indietro. Pare che, furenti per l’intervento Usa, tre dei quattro gruppi di combattenti iraniani che avevano messo sotto assedio la città di Saddam Hussein abbiano abbandonato il campo. Anche qui si aprono scenari inediti e imprevedibili .