di Dario Di Vico
Potremmo catalogarla come una forma di ansia da prestazione. Il governo, pur di tener fede all’immagine che vuole proporre di sé, tende a strafare. E finisce per sovrapporre all’agenda reale delle priorità dell’economia e della società una propria lista, spesso dettata dall’esigenza quasi maniacale di riempire la scena mediatica. Così appena Maurizio Landini per via del suo progetto di costituenda coalizione sociale passa intere giornate negli studi televisivi i consiglieri del premier controbattono lanciando, in competizione diretta, un progetto che abbia qualche attinenza o analogia con temi sindacali. Da qui la legge sulla rappresentanza sindacale che, secondo le indiscrezioni che circolano in queste ore, Palazzo Chigi avrebbe intenzione di varare al più presto. Sul piano dei contenuti non c’è dubbio che il sistema delle relazioni industriali made in Italy avrebbe bisogno di norme più moderne per fotografare la reale incidenza delle sigle sindacali e la loro titolarità a indire scioperi, il dubbio — grosso come una casa — è che questo sia il timing giusto per istruire un iter parlamentare ad hoc.
Il governo, infatti, ha appena varato il Jobs act, un provvedimento-delega che va riempito con numerosi decreti attuativi. Ne sono stati emessi due e ne mancano altri tre, che investono materie estremamente delicate e che vanno riformate con urgenza. Stiamo parlando dello sfoltimento delle forme contrattuali, del futuro della cassa integrazione, del rilancio delle politiche attive del lavoro, del ruolo dell’agenzia nazionale e di quelle private. Ci vorranno un paio di mesi perché questo complesso mosaico vada interamente al suo posto e solo allora avremo una legge sul mercato del lavoro, organica e speriamo coerente. In parallelo la compagine governativa dovrà rilanciare la Garanzia Giovani, una misura finanziata dall’Unione Europea e che non ha tenuto finora fede alle promesse. Di cose da fare come si vede ce ne sono tante: che senso ha aumentare la produzione di norme quando ancora bisogna implementare quelle già approvate? Meglio meno ma meglio, magari spiegando con cura agli operatori le novità affinché non accada come con gli 80 euro ovvero che la bassa capacità di trasmissione finisca per sterilizzare le valenze positive del provvedimento.
Un secondo motivo che porta a dubitare di un timing accelerato per la legge sulla rappresentanza riguarda il contesto macro-economico. Anche dal meeting di Cernobbio arriva l’invito a non sprecare l’irripetibile occasione che ci si presenta grazie, e non solo, al bazooka di Mario Draghi. Il 2015 non solo deve essere l’anno della ripresa ma deve anche produrre lavoro. Tanto lavoro. Se proprio Renzi vuol togliere spazio a Landini faccia tutto quello che è in suo potere per rafforzare la ripartenza più che guardare al minutaggio televisivo. Una nuova querelle sulle regole potrebbe avere l’effetto di produrre conflitti in un momento in cui le aziende hanno bisogno di riformulare i loro piani di produzione e di tenere fede agli impegni. L’economia del dopo crisi sarà comunque più nervosa, con cicli più ravvicinati e c’è bisogno di un buon clima nelle fabbriche per affrontare e risolvere queste discontinuità. Ciò vuol dire abdicare alla modernizzazione della rappresentanza? Nient’affatto. Il caso vuole che proprio oggi il nuovo presidente dell’Inps Tito Boeri firmerà con i sindacati e la Confindustria un accordo in cui l’istituto si fa carico della rilevazione dei dati sulla rappresentanza in ossequio all’accordo interconfederale di un anno fa. Si tratta solo di andare avanti su questa strada e tessere la tela senza inseguire i tg della sera .