Il commento
I5 Stelle si stanno accorgendo che il 32%, in democrazia, serve a poco, se non ci sono alleati. Per formare un governo bisogna discutere e confrontarsi, fare accordi e compromessi, tutte quelle pratiche che negli anni passati i grillini hanno stigmatizzato con espressioni che andavano dal colorito al volgare.
Sembra che ora ne siano convinti, ma si trovano ancora a metà strada. Infatti insistono in quella sciocchezza costituzionale per la quale gli elettori hanno indicato Di Maio come premier e quindi ogni altra soluzione sarebbe uno sfregio alla democrazia. I segue dalla prima pagina Se si incaponiscono in questa visione distorta rimangono a gingillarsi con il loro gruzzolo di voti senza approdare a nulla.
Le loro offerte a destra e a manca pur di fare un governo mostrano infatti un crescente stato d’ansia: è come chiedessero una ciambella di salvataggio per evitare di affondare. Ma nessuno gliela lancerà.
Perché per tutti gli altri sarebbe un suicidio politico.
Né Salvini ha interesse a rompere adesso con Berlusconi prima di aver definitivamente spolpato Forza Italia, né il Pd può umiliarsi ad andare alla corte di Di Maio.
Se i 5 Stelle non fanno un passo indietro sulla premiership rimangono isolati. L’idea che qualcun altro possa concedere loro il vantaggio di Palazzo Chigi è fuori dal mondo. E allora perché non recedono? Un po’ conta l’euforia della vittoria. L’ebbrezza del grande successo deve ancora passare. Ma dietro a questa insistenza si cela forse un progetto malizioso. E cioè, che tenere il punto serve a spingere centro-destra e Pd verso un governo “istituzionale”, senza di loro. In questo caso i grillini potranno rilanciare a tutto volume la polemica contro gli accordi di palazzo che calpestano la volontà del popolo, e via di questo passo.
Con un tale atteggiamento il M5S ritorna alla sua fase antagonistica: una opposizione a 360 gradi per capitalizzare ulteriori consensi. Questa inversione di marcia ha il fascino, sempre latente in tutti i partiti, del ritorno alla purezza delle origini, del ricompattamento contro i nemici, ma interrompe il percorso di accreditamento e affidabilità compiuto fin qui. Un M5S che fugge dalle proprie responsabilità brucia il credito acquisito in quest’ultimo anno. Ritorna un movimento di agitazione e protesta, con l’aggravante di aver instillato nei propri sostenitori l’idea che ci sia una congiura per non farli governare. Iniettare questa immagine di tradimento della volontà popolare in un elettorato protestatario e percorso da sentimenti antipolitici, tipico di buona parte dei 5 Stelle, rende un pessimo servizio alla democrazia italiana.
I dirigenti pentastellati ritenevano fosse dovuto loro tutto grazie al buon risultato delle urne. Ora si rendono conto che le dinamiche della democrazia parlamentare non sono una passarella per esibire protagonismi.
Tant’è che a forza di insistere sull’irrinunciabilità della premiership si trovano isolati. A questo punto tocca a Di Maio sbloccare l’impasse. L’alternativa è chiara: può consentire la nascita di un governo (istituzionale, di tutti) facendo un passo indietro, o rovesciare il tavolo e dare fuoco alle polveri per non aver ottenuto Palazzo Chigi. È una questione di leadership, che non si ottiene con il successo elettorale, bensì con quello politico. Di Maio ha raggiunto il primo obiettivo ma gli sta sfuggendo il secondo. In questo momento la sua solitudine, frutto di un mix di esaltazione, inesperienza e arroganza, può essere superata solo se c’è un atto di disponibilità e intelligenza politica da parte sua. Dopodiché, la saggezza del Presidente della Repubblica aiuterà a comporre le tessere.
Sembra che ora ne siano convinti, ma si trovano ancora a metà strada. Infatti insistono in quella sciocchezza costituzionale per la quale gli elettori hanno indicato Di Maio come premier e quindi ogni altra soluzione sarebbe uno sfregio alla democrazia. I segue dalla prima pagina Se si incaponiscono in questa visione distorta rimangono a gingillarsi con il loro gruzzolo di voti senza approdare a nulla.
Le loro offerte a destra e a manca pur di fare un governo mostrano infatti un crescente stato d’ansia: è come chiedessero una ciambella di salvataggio per evitare di affondare. Ma nessuno gliela lancerà.
Perché per tutti gli altri sarebbe un suicidio politico.
Né Salvini ha interesse a rompere adesso con Berlusconi prima di aver definitivamente spolpato Forza Italia, né il Pd può umiliarsi ad andare alla corte di Di Maio.
Se i 5 Stelle non fanno un passo indietro sulla premiership rimangono isolati. L’idea che qualcun altro possa concedere loro il vantaggio di Palazzo Chigi è fuori dal mondo. E allora perché non recedono? Un po’ conta l’euforia della vittoria. L’ebbrezza del grande successo deve ancora passare. Ma dietro a questa insistenza si cela forse un progetto malizioso. E cioè, che tenere il punto serve a spingere centro-destra e Pd verso un governo “istituzionale”, senza di loro. In questo caso i grillini potranno rilanciare a tutto volume la polemica contro gli accordi di palazzo che calpestano la volontà del popolo, e via di questo passo.
Con un tale atteggiamento il M5S ritorna alla sua fase antagonistica: una opposizione a 360 gradi per capitalizzare ulteriori consensi. Questa inversione di marcia ha il fascino, sempre latente in tutti i partiti, del ritorno alla purezza delle origini, del ricompattamento contro i nemici, ma interrompe il percorso di accreditamento e affidabilità compiuto fin qui. Un M5S che fugge dalle proprie responsabilità brucia il credito acquisito in quest’ultimo anno. Ritorna un movimento di agitazione e protesta, con l’aggravante di aver instillato nei propri sostenitori l’idea che ci sia una congiura per non farli governare. Iniettare questa immagine di tradimento della volontà popolare in un elettorato protestatario e percorso da sentimenti antipolitici, tipico di buona parte dei 5 Stelle, rende un pessimo servizio alla democrazia italiana.
I dirigenti pentastellati ritenevano fosse dovuto loro tutto grazie al buon risultato delle urne. Ora si rendono conto che le dinamiche della democrazia parlamentare non sono una passarella per esibire protagonismi.
Tant’è che a forza di insistere sull’irrinunciabilità della premiership si trovano isolati. A questo punto tocca a Di Maio sbloccare l’impasse. L’alternativa è chiara: può consentire la nascita di un governo (istituzionale, di tutti) facendo un passo indietro, o rovesciare il tavolo e dare fuoco alle polveri per non aver ottenuto Palazzo Chigi. È una questione di leadership, che non si ottiene con il successo elettorale, bensì con quello politico. Di Maio ha raggiunto il primo obiettivo ma gli sta sfuggendo il secondo. In questo momento la sua solitudine, frutto di un mix di esaltazione, inesperienza e arroganza, può essere superata solo se c’è un atto di disponibilità e intelligenza politica da parte sua. Dopodiché, la saggezza del Presidente della Repubblica aiuterà a comporre le tessere.