Carlo Petrini I partiti sono ormai superati, bisogna ripartire dalle comunità per favorire la partecipazione delle persone.

 

INTERVISTA
La lezione del voto in Italia, dice Carlo Petrini, è chiara: «Assistiamo al superamento di schemi ormai vecchi, la politica deve esprimersi attraverso nuove forme». Il fondatore di Slow Food le identifica nelle comunità, organizzazioni più inclusive, capaci di garantire maggiore partecipazione. Il discorso parte dall’ambiente, ma si adatta perfettamente alla politica. Oggi i partiti, spiega Petrini, «sono sempre più caratterizzati dalle leadership, non a caso molte liste avevano il nome di un politico nel simbolo. Bisogna invece coinvolgere di più le persone. Il carisma va bene, ma se diventa prioritario, se rischia di trasformarsi in arroganza, allora tutto salta». Viene spontaneo pensare a una critica al Pd, di cui Petrini – figura di riferimento intellettuale per la sinistra – è stato fra i membri del Comitato promotore. Ma lui smentisce: «Non è mio compito e non voglio fare un’analisi interna ai partiti. È evidente che nel Pd sia mancata la partecipazione, ma io credo che sia tutta la politica a dover dare dignità a istanze che crescono nella società, ad argomenti finora tenuti in secondo piano anche dai giornali. Il primo è l’ambiente. Nella campagna elettorale quasi non se ne è parlato». Per questo ha deciso di fondare le comunità «Laudato si’» che presenterà oggi in Vaticano? Perché chiamarle con il nome dell’enciclica di Papa Francesco del 2015? «È un documento politico di straordinaria valenza. Pone in relazione i disastri ambientali con la distruzione della vita per i più poveri, come prima gli ambientalisti non facevano. Pensavano ai panda, giusto, certo, ma non ai poveri. È l’affermazione dell’ecologia integrale, di quell’educazione a tutelare l’ambiente per difendere al tempo stesso le condizioni di vita dell’uomo. È l’obiettivo delle comunità “Laudato si'”». Come funzioneranno? «L’idea è passare dalla democrazia animale a quella vegetale. Nella prima c’è un cervello che dà gli input agli organi, in quella vegetale ci sono una serie di apparati che contribuiscono alla salute della pianta in modo autonomo. Le nostre comunità saranno aconfessionali, trasversali, aperte a tutti. Addio gerarchie o dipendenza centralizzata. E lo stesso voglio fare con Slow Food». In che modo? «Rendendo i nostri convivi più inclusivi. C’è un gruppo di persone che vuole impegnarsi sui temi di Slow Food? Bene, basta che sottoscrivano gli impegni alla base del movimento e si prefiggano un obiettivo. A quel punto sono già parte di Slow Food, senza dover dipendere da referenti regionali, per dire». Ma che cosa garantisce che queste comunità possano funzionare bene e non finire ostaggio della confusione? «Come dice il saggista austriaco Fritjof Capra, le comunità sono pronte a grandi sfide perché hanno la sicurezza affettiva, a differenza delle organizzazioni classiche. E poi perché funzionano sul principio che all’impegno di ogni comunità corrispondono le buone abitudini che ogni componente singolarmente deve mettere in pratica. Così capitava anche per la sinistra quando ero giovane». Ora non è più così? Il Pd ha perso milioni di voti anche perché si è allontanato da temi come l’ambiente? «No, questa è una colpa di tutti i partiti. Quanto al Pd, beh, vedere le divisioni certo non dà fiducia a un elettorato diventato peraltro molto più ballerino. Una volta non sarebbe stato possibile passare in quattro anni dal 40 al 18,7%». Lei fa un discorso di strutture organizzative e di argomenti. Sono questi fattori che hanno premiato il M5S e la Lega? «Mi vengono in mente le tre domande di Woody Allen: “Chi siamo? Dove andiamo? Che cosa mangiamo stasera?”. Forse hanno dato più attenzione alla terza domanda. Certi discorsi dei Cinque Stelle sulla povertà hanno contato più delle polemiche sui rimborsi». E la Lega? Sul Ceta, il trattato dedicato al commercio globale Slow Food era più in sintonia con Salvini che con il Pd, giusto? «Intendiamoci. Io sono convinto che il nostro governo abbia lavorato bene e che il Pd sui diritti civili sia più sensibile di tutte le altre forze». Ma lei ha votato ancora Pd? «Certo, attraverso la Bonino, è di Bra come me». Dicevamo della Lega e del commercio globale. «Noi eravamo e siamo contrari, convinti che così non si difendono i nostri artigiani, i nostri agricoltori. Contraria era anche la Lega, come il Movimento 5 Stelle, non il Pd. Il Piemonte è stata l’unica Regione a guida centrosinistra a esprimersi contro il Ceta. Non mi risulta che da Roma siano arrivati applausi all’assessore all’Agricoltura Ferrero». Molti hanno parlato di punti di vicinanza tra M5S e Slow Food. L’hanno contattata? «Ho visto Grillo, è venuto da noi a Pollenzo, ma non per attività politica. Mi ha chiesto di scrivere dei miei temi sul suo blog, ora che lo ha staccato dal Movimento. Lo ha chiesto a me e ad altri figure in giro per il mondo. Gli ho dato disponibilità a patto di poter sostenere le mie tesi in libertà». Che cosa serve per uscire dall’impasse post voto? «Meno risse, più dialogo». Il Pd dovrebbe aprire ai 5 Stelle per il governo? «Il buon senso dice che ascolto e attenzione sono dovute, a patto di non essere insultati. La maggioranza della base lo chiede. Hanno avuto fiducia, bisogna vederli all’opera. In Spagna la sinistra ha dato via libera a Rajoy, no? E in Germania l’Spd non si è alleata alla Merkel?». In Italia la sinistra da che cosa dovrebbe ripartire? «Serve un po’ più di radicalità. Guardi Sanders negli Stati Uniti, Corbyn in Gran Bretagna, ma anche Papa Francesco alle prese con una fronda interna mica da ridere. I giovani guardano a figure un po’ radicali. Ma tutto sommato il mio cuore di uomo di sinistra non è lacerato». Perché? «Sono convinto che il Paese abbia ancora tante risorse positive. Sono trasversali, guardi a esempio il volontariato, il compito della politica è ascoltarle, aiutarle».
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