L’IDENTITA’ DI UNA CITTA’ VA SALVAGUARDATA COMINCIANDO DALLE PIETRE.

Luigi Del Fante

«Dettagli», potrebbe osservare qualcuno. Ma dettagli che fanno la differenza. Dettagli di straordinaria importanza, che rendono «unica» Firenze; che, tuttavia, negli ultimi vent’anni, purtroppo, sembrano non essere più oggetto della dovuta attenzione da parte degli addetti ai lavori.

Già nel 1991 ci fu la questione di piazza della Signoria con il suo lastricato settecentesco che avrebbe dovuto essere protetto e conservato e che, invece, venne rimpiazzato da un lastricato «nuovo», provocando, oltre alle polemiche, anche un’inchiesta della magistratura per «danneggiamento». Allora si scrisse: «Il problema che si è posto il pretore è quello di capire perché un bene come la piazza con le sue pietre, il cui valore storico e culturale è sempre stato riconosciuto e confermato dagli esperti dei comitati di settore del Ministero, sia stato demolito». I comitati di settore, infatti, in sedici sedute e cinque sopralluoghi, avevano confermato dal 1975 un’unica scelta operativa tesa alla conservazione e al restauro del lastricato settecentesco. Già l’illustre professor Francesco Rodolico, nel suo storico libro Le pietre delle città d’Italia (Firenze, 1952) metteva in risalto come la fisionomia, la «sostanza» di cui è fatta Firenze, sia costituita essenzialmente dalle arenarie pietraforte e pietra serena, a costituirne la materiale identità storica e culturale.

Il professor Piero Sanpaolesi, uno dei padri della teoria del restauro del ‘900, non si stancava mai di ammonire che le città storiche, nel loro insieme, oltre che nei singoli manufatti architettonici che contribuiscono a determinarle, debbono essere protette e conservate nella loro integrità di «corpo ed anima», dove appunto la materia «antica» di cui sono fatte ha un valore estetico-identitario che non si può né si deve alterare o, peggio, eliminare.

Nel 2012 il professor Francesco Guerrieri, tra i più noti esperti di restauro, già ordinario alla Facoltà di Architettura di Firenze, lanciò un grido di allarme nel suo libro Firenze, la materia della città (2012): «Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da atteggiamenti controversi e abbastanza incongrui: nello stesso momento in cui si celebrava la storicità dei lastrici, per motivi economici si colmavano con asfaltature lacune o zone abrase dal traffico». È accaduto per via Pier Antonio Micheli, sulla quale si affacciano Palazzo San Clemente, vero gioiello architettonico, «meraviglia» di Gherardo Silvani; il Giardino dei Semplici (1545), il primo Orto botanico d’Europa destinato alla coltivazione e alla raccolta delle erbe medicinali; e il monumentale Palazzo Capponi.

Ora, a fronte (e nonostante) di quanto esposto, sono stati letteralmente eliminati in maniera sbrigativa ed economica lastricati antichi settecenteschi e ottocenteschi, strettamente legati alla percezione unitaria d’insieme con i palazzi delle strade, per stendervi un funereo strato d’asfalto asfittico, sordo; che, oltretutto, nella stagione estiva si trasformerà in brace ardente sotto i piedi dei passanti, contribuendo a innalzare la temperatura della via. Nella foto (in campo lungo) di via Micheli il «nastro d’asfalto» richiama immediatamente la sensazione della velocità, della scorrevolezza frenetica. Al contrario, la tessitura diagonale delle lastre rettangolari di pietra, «rallenta» il ritmo dell’andatura, contrapponendosi in modo dialettico alla linearità della strada. Ecco, allora, quel senso di «passeggiata», piacevole, rallentata, distensiva, così cara a don Bensi, a La Pira, nel profumo del glicine, degli ippocastani, dei gelsomini, e, verso sera, l’amaro profumo degli oleandri e l’umido, resinoso sentore delle chiome dei cipressi.

A questo proposito vorrei fare un esempio illuminante: via del Podestà al Galluzzo (nella foto più piccola). Lì sì che si è intervenuti con grande avvedutezza e sensibilità storica ricostituendo un lastricato in pietra arenaria, ben curato, lavorato a scalpello, con «nastrini» di rigiro per ogni lastra massello, ben «commessa», cioè a dire saldamente unita l’una alle altre contermini, onde evitare movimenti e cedimenti differenziali. Ma allora perché non si è operato con la medesima diligenza all’interno del perimetro Unesco di Firenze?

La scelta appare in tutta la sua sconcertante (e anche ipocrita) drammaticità perché si addita la necessità di risparmiare sui lavori, altrimenti necessari per risistemare lastricati sconnessi e deformati, proprio a causa dell’incuria durata decenni, ingiustificata, che ha continuato nel tempo ad aggravarne ancora di più le condizioni, a «effetto domino». Si doveva intervenire molto prima per contenere i danni e, di conseguenza, limitare i lavori di ripristino. Ogni giustificazione economica, in questa fattispecie, non può assolutamente essere accettata ed avere il sopravvento su ogni altra considerazione. Siamo a Firenze, non siamo in una periferia degradata, dove un manto d’asfalto nuovo può rappresentare una ricchezza. Siamo a Firenze, il cui centro storico è patrimonio dell’umanità Unesco, e anche la pietra di ogni lastricato fa parte a pieno titolo della sua identità: come tale va mantenuta.

 

*Architetto

 

Giovedì 8 Febbraio 2018, Corriere Fiorentino.

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