Il portafoglio della famiglia Boschi.
I casi sono due: o un enorme gregge di pecore del listino si è improvvisamente spostato sulla Banca Popolare dell’Etruria e Lazio (Bpel) senza una bussola, oppure qualcuno ha approfittato del gran balzo delle Popolari per soffiare sul fuoco dell’unica che non aveva ragione di rimbalzare.
La strana storia della «banca dell’oro» si può riassumere in due percentuali: + 62% il prezzo in otto sedute (il doppio o il triplo delle altre Popolari) ma soprattutto 40% del capitale complessivo passato di mano. Il tutto da quando è piovuta in Piazza Affari la notizia che il governo avrebbe cancellato per decreto il voto capitario di dieci grandi Popolari. Diciamo subito che padre (100 azioni), madre (100) e fratello (1.847) del ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi (1.557), sono azionisti della banca, il padre è anche vicepresidente e il fratello dipendente.
Qualcuno evoca il conflitto di interessi ma, al di là del ruolo di «potere» di Pier Luigi Boschi, il valore delle quote è assolutamente irrilevante: 800 euro circa il ministro, qualche decina di euro i genitori. È un fatto però che la decisione del governo abbia giovato alla Etruria più di tutte le «colleghe». È da quel momento infatti che, neanche fosse la turbo-Tiscali dell’epoca, questa banca toscana, motore del polo orafo aretino, con 76mila azionisti, 186 sportelli, 1.800 dipendenti (ma ne vorrebbe tagliare circa 400) e parecchi cerotti al bilancio, ha cominciato a correre. È come vedere un vecchietto curvo che improvvisamente si raddrizza, butta il bastone, insegue e supera Usain Bolt. Viene da chiedersi che cosa ha bevuto. Solo ieri l’Etruria ha tirato il fiato: -3,18%. Gli scambi in alcuni casi sono stati 30 volte superiori alla media delle settimane precedenti.
L’ingrediente della pozione magica non può essere l’effetto spa, ovvero la scalabilità, che ha lanciato il gruppo delle Popolari. Non aveva senso per un motivo molto semplice: si sapeva da un pezzo che l’istituto aretino aveva deciso la trasformazione in spa per favorire un’aggregazione, molto caldeggiata dalla Banca d’Italia dopo le ispezioni (2012 e 2013 con verbali finiti in Procura) dagli esiti preoccupanti. Anzi era già stata programmata un’assemblea straordinaria ma la banca ha poi deciso di rinviarla a dopo l’approvazione del bilancio 2014. Comunque tempi ben più stretti dei 18 mesi stabiliti dal decreto. Insomma l’«effetto spa» non esiste, per l’Etruria è una notizia vecchia, già digerita, speculativamente morta.
Se anche, come si racconta, sui desk di Londra lunedì mattina 19 gennaio girava, molto ben circostanziato, il contenuto della norma che il premier Matteo Renzi avrebbe illustrato il giorno dopo, i trader dovevano sapere che per la popolare di Arezzo non cambiava nulla.
Anzi a quel punto allargandosi il mercato dei probabili merger l’Etruria non era più una merce rara e appetibile. Ci aveva provato Gianni Zonin della Popolare Vicenza lo scorso anno ad acquisirla, senza esito. Per cui Mediobanca, l’advisor, si è rimessa al lavoro. Nel frattempo il consuntivo al 30 settembre ha segnato una perdita di 126 milioni e la situazione patrimoniale, ad oggi, è ancora precaria. Bankitalia a novembre ha avviato una nuova ispezione generale.
A quanto pare nulla che autorizzi euforia. E allora? Gli uffici della banca gettano acqua sul fuoco, parlano di «aumento generalizzato» e di un «titolo che da tempo viaggiava su livelli di prezzo minimo».
Alcuni, però, azzardano una trama suggestiva che porta alle ricche famiglie fiorentine i cui portafogli sarebbero il vero obiettivo. Infatti l’Etruria controlla al 100% un piccolo e antico istituto di Firenze, Banca Federico Del Vecchio che si descrive così: «Una lunga tradizione nella gestione del risparmio … interlocutore per le più importanti famiglie e imprese del capoluogo toscano».
Per un certo periodo, fino a settembre 2013 ne fu presidente Antonella Mansi che poi ha traslocato alla guida della Fondazione Mps. Insomma la manovra in Borsa sarebbe mirata a garantire un approdo sicuro ai portafogli fiorentini. Ipotesi e congetture fioriscono anche perché del gran balzo non c’è una vera spiegazione.
Mario Gerevini