di Marco Travaglio
Ai primi del 1997, in pieno inciucio Bicamerale, Giuliano Amato si appresta ad affiancare D’Alema nel progetto “Cosa-2”: una nuova formazione di sinistra socialdemocratica fra ex-Pci ed ex-Psi che seppellisca l’Ulivo del detestato Prodi. S’incarica Bettino Craxi a sbarrargli la strada, con un semplice fax da Hammamet. “Becchino vomitevole”. “Giuliano Amato – scrive il Latitante il 7 febbraio – tutto può fare salvo che ergersi a giudice delle presunte malefatte del Psi, di cui egli, al pari degli altri dirigenti, porta semmai per intero la sua parte di responsabilità… Ma guardacaso, forte delle sue amicizie e altolocate protezioni, a lui non è toccato nulla di nulla. Buon per lui…”. Dopo averlo definito “becchino del Psi”, “trasformista”, “voltagabbana”, “una cosa vomitevole come tutti i craxiani che son diventati anticraxiani”, “un opportunista che strisciava ai miei piedi e ora striscia a quelli degli altri per salvarsi la pelle”, Craxi aggiunge che “con le cattive abitudini contratte dal Psi, finanziamento illegale in testa, Amato è stato a contatto quotidiano”, il che un giorno “potrebbe risultare in modo inconfutabile”. E ricorda maligno che “i suoi rapporti personali con l’amministratore Vincenzo Balzamo erano diretti ed eccellenti… Egli era perfettamente al corrente della natura complessiva del finanziamento del partito. Egli non poteva non sapere… Di questi finanziamenti egli si è sempre avvalso naturalmente e personalmente per le sue spese di lavoro politico, per le sue campagne elettorali che furono sempre finanziate dal partito, tanto in sede nazionale che locale. Anche in questo caso non credo che il tutto avvenisse tramite assegni e trasferimenti bancari documentati”. E qui pare proprio che Craxi alluda alle storie del 1983, alla colletta e agli assegni dei vecchi amici Rolando e Coda-Zabet. Testuale: “Resta inoltre da considerare se, per far fronte alle spese delle sue campagne elettorali, furono organizzate, come pare, anche raccolte di fondi che non rientravano nel controllo dell’amministrazione centrale”. Non solo: “È certamente toccato a Giuliano Amato di occuparsi di iniziative, strutture e progetti di interesse del partito e che tuttavia comportavano un interessamento diretto, ed incarichi specifici di collaborazione con l’amministrazione del Psi”. Il tutto, “senza che mai Amato esternasse le sue perplessità per il sistema generale su cui si imperniava il finanziamento del partito, parte del quale in aperta e risaputa violazione della legge”. Ma – chiude minaccioso Bettino – “di tutto ciò si può tornare a parlare più nel dettaglio”. Si ritira un’altra volta. Un paio di mesi dopo, ad aprile, Amato anticipa che a ottobre si dimetterà dall’Antitrust e annuncia per l’ennesima volta il suo ritiro dalla politica: “Torno all’insegnamento a tempo pieno, non potrò avere altri incarichi”. Il ritiro dura meno di un anno. Poi D’Alema, che ha rovesciato Prodi nell’ottobre 1998, lo richiama in servizio come ministro delle Riforme istituzionali. Nel 1999 si elegge il nuovo presidente della Repubblica. E Berlusconi, guarda un po’, punta su Amato. Ma passa Ciampi. E Amato lo rimpiazza al Tesoro. Il 19 gennaio 2000 muore Craxi e lui è l’unico ex big socialista a disertare il suo funerale ad Hammamet. Però gli ha scritto qualche giorno prima, per assicurargli che si stava prodigando per farlo rientrare in Italia con un salvacondotto. La sua specialità. “Giuliano scrive bene – ha commentato Craxi morente nell’ospedale militare di Tunisi – ma non dice nulla. È quello che s’è comportato peggio”. Insieme al cuore di Bettino, smette di funzionare anche il suo fax. E l’ex Ghino di Taschino è pronto alla grande rentrée. D’Alema intanto vacilla e B. punta a un governissimo con Amato premier. “Io al posto di D’Alema? Per me il problema non esiste. Che cosa cambierebbe fare un nuovo governo?”, sguscia via Topolino (7-11-1999). Infatti, nell’aprile 2000, prende il posto di Max, sconfitto alle elezioni regionali. E torna a Palazzo Chigi, sette anni dopo il primo ritiro irrevocabile dalla politica. “Purtroppo c’è la Costituzione”. Nell’anno e poco più che resta alla fine della legislatura, il governo Amato riesce a varare alcune leggi vergogna che non erano riuscite neppure a B.. Una è quella – firmata dal guardasigilli Piero Fassino – che, di fatto, abolisce i pentiti di mafia, proprio ora che cominciano a parlare della trattativa con lo Stato nel 1992-’93, durante il suo primo governo. L’altra è la legge penale tributaria, che istituisce soglie altissime di non punibilità per l’evasione e la frode e depenalizza l’uso delle false fatture (un regalo a Dell’Utri, che ottiene un forte sconto di pena nel suo processo per i conti truccati di Publitalia) e “l’indicazione di importi diversi da quelli effettivamente corrisposti” dalle aziende ai dipendenti (un omaggio a Romiti, che incassa uno sconto anche lui per i compensi fuoribusta ad alcuni dirigenti Fiat). Memorabile poi la sua dichiarazione sul Gay Pride del 2000, l’anno dei Giubileo della Chiesa: il “laico” Amato avrebbe tanto voluto impedire il corteo degli omosessuali nella Città Santa, ma non può perché “purtroppo c’è la Costituzione”. Un ottimo viatico per la futura nomina a giudice costituzionale. Ministro di Polizia & Indulto. Nel 2001, dopo il suo secondo governo, Amato è rieletto senatore dell’Ulivo e nel 2002 vicepresidente della prestigiosa Convenzione europea che riscrive la Costituzione Ue. Nel 2006 passa alla Camera come deputato dell’Unione. Allo scadere di Ciampi, è uno dei preferiti di B. al Quirinale, ma vince Napolitano. Lui deve accontentarsi del ministero dell’Interno. Come tale, dovrebbe dire qualcosa sull’indulto extralarge votato da destra, centro e sinistra (tranne Di Pietro, Lega, An e Pdci). An lo chiama in Parlamento per spiegare gli effetti devastanti del “liberi tutti”: lui non ci va e non dice una parola. Poi, quando la frittata è fatta e 26 mila detenuti sono usciti di galera, tornando in gran parte a delinquere, fa sapere di aver votato l’indulto “con grande sofferenza”. Chissà, forse anche quella volta era alla toilette. A quel punto, col nuovo boom della criminalità, cambia pelle e diventa sceriffo: non contro i delitti dei colletti bianchi, ma contro lavavetri, ambulanti, mendicanti. Ai clienti delle prostitute vuole mandare la multa a domicilio, i graffitari sogna di punirli con un nuovo reato di “porto non autorizzato di bomboletta spray”. Poi va a Palermo a commemorare Falcone e a insegnare legalità. Uno studente gli ricorda i 25 condannati in Parlamento, lui lo zittisce: “Sei un piccolo capetto populista, sono reati minori”. Tipo mafia, corruzione, bancarotta, frode, cosette così. Il Poltronissimo. Col ritorno di
B. al governo nel 2008, Amato annuncia per la terza volta il suo ritiro dalla politica. E impiega il tempo libero dedicandosi al suo hobby preferito: oltre al tennis (di cui ha dato prova in una memorabile puntata di Porta a Porta con Adriano Panatta), la collezione di poltrone: 77 in trent’anni. Roba da far invidia a “Divani & Divani”. Nel 2009 diventa presidente dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani. Già membro del Comitato nazionale per il Pd (2007) e poi del Coordinamento nazionale del nuovo partito (2008), nel 2010 accetta l’invito del sindaco ex fascista Gianni Alemanno di presiedere la “commissione Attali” all’amatriciana del Comune di Roma, con l’amico Bassa-nini al seguito, salvo andarsene dopo appena un mese. Intanto diviene consulente in Italia per la Deutsche Bank e presidente onorario della Fondazione “Ildebrando Imberciadori” per la ricerca storica. Nel 2011 è presidente del Comitato dei Garanti per i 150 anni dall’Unità d’Italia e candidato dal Pd a vicepremier con Gianni Letta nel governo Monti, ma non se ne fa niente: Monti però lo nomina suo consulente per i tagli ai finanziamenti pubblici ai partiti (in qualità di intenditore). Nel 2012 è presidente della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, di cui già presiede l’associazione ex-allievi. E presidente dell’International advisory board di Unicredit. Nel 2013, come sempre, è il favorito di B. (e di Napolitano) al Quirinale, ma non passa e Re Giorgio resta. Allora corre per presiedere il governo di larghe intese, ma gli viene preferito Enrico Letta. Intanto nel 2010 si dà un gran daffare per sponsorizzare Giuseppe Mussari, presidente del Montepaschi di Siena, alla presidenza dell’Abi; ma anche per ottenere da lui un finanziamento al Circolo Tennis Orbetello, di cui Amato è ovviamente presidente onorario. Ecco una delle telefonate fra i due, intercettate dai pm di Siena il 1° aprile 2010: Amato: “Mi vergogno a chiedertelo, ma per il nostro torneo a Orbetello è importante perché noi siano ormai sull’osso, che rimanga immutata la cifra della sponsorizzazione. Ciullini ha fatto sapere che il Monte vorrebbe scendere da 150 a 125“. Mussari: “Va bene, ma la compensiamo in un altro modo“. A: “Guarda un po’ se riesci, sennò io non saprei come fare… Trova, ce l’hai un gruppo? La trovi?”. M: “La trovo, contaci“. Al culmine delle polemiche per la sua mega-pensione da 31 mila euro e rotti al mese (dato da lui contestato, perché assicura di devolverne una parte in beneficenza, senza peraltro precisare a chi, e di percepire la miseria di 22 mila euro mensili), Amato fa causa al Fatto Quotidiano per 500 mila euro. E scrive una lettera strappalacrime a Repubblica: “Io non faccio parte della Casta”. In mancanza del genitore, provvede Stefania Craxi a ricordargli il suo passato: “Se papà era capo di un partito di ladri, Giuliano era il vice-ladrone”. Nel settembre 2013 l’amico Napolitano (con cui condivide anche il ruolo di testimone nel processo sulla trattativa Stato-mafia) gli trova finalmente un posto a sedere: quello di giudice costituzionale. Nella speranza che stavolta da quel trampolino di lancio, alla tenera età di 77 anni, 23 anni dopo le sue prime dimissioni irrevocabili, riesca a spiccare il volo verso l’amato Colle. O l’Amato colle. Il Caimano, tanto per cambiare, tifa per lui. E così l’ex re Giorgio, la vecchia Curia vaticana, l’ambasciata americana, un pezzo di Confindustria, Eugenio Scalfari e il Corrierone, la lobby trasversale degli ex-Psi e quella dei giuristi-corazzieri alla Manzella e alla Cassese, ma anche i dalemiani e molti bersaniani. Lui, con mirabile tempismo, raccoglie in un libro last minute del Mulino i suoi saggi giuridici degli ultimi cinquant’anni. Dall’Oltretomba però il vocione di Bettino che l’ha accompagnato per tutta la vita torna a farsi sentire per bocca della figlia Stefania. Che, intervistata dal Fatto Quotidiano su eventuali fascicoli ancora inediti su Amato nell’archivio paterno, risponde soave: “Può darsi”.