Nessuno spiega loro che si tratta di un mondo capovolto e fatto di orrendi trucchi della coscienza.
Di fronte a un padre che fa uccidere e uccide, non una ma cento volte, ci sono due modi di reagire: quella di Peppino Impastato che, con coraggio splendido, rinnega la legge del sangue e dichiara prima di tutto di essere fedele alla sua coscienza. Prima di essere figlio sapeva di essere un uomo libero che aveva il potere e il dovere di giudicare chiunque si comportasse con arbitrio e crudeltà, anche se questi erano suo padre e i suoi fratelli carnali. Poteva provare pietà per loro, forse anche conservare un piccolo angolo d’amore in fondo al cuore per un padre che lo aveva generato, ma non poteva impedirsi di giudicarlo e di condannarlo. Sappiamo purtroppo come è andato a finire il temerario Peppino che rimarrà nella memoria dell’isola come un modello di generoso e ammirevole coraggio .
L’altro atteggiamento è quello di chi crede che la legge del sangue sia piu importante della legge della coscienza: un padre è prima di tutto un padre, sangue del tuo sangue, e quindi va amato anche se tortura e uccide. Non è neanche paura di quel mondo capovolto in cui i potenti tagliano le teste dei dissidenti e le danno da mangiare ai cani, è semplicemente l’accettazione di un legame che prescinde da ogni legalità , da ogni etica, da ogni sensibilità di giustizia. «Mio padre è un lavoratore ingiustamente accusato», scrive una delle figlie di Riina e «parlano contro di lui solo calunniatori malvagi e senza scrupoli». Mondo capovolto che offende chi crede che la realtà debba stare ritta con la testa per aria, non sottoterra, mentre le gambe si agitano al vento, senza né vedere né capire. Negare la ragione, il giudizio, la legge è tipico di chi crede che il sangue valga più del pensiero, più del sentimento, più della ragione, più della umana pietà verso le vittime ingiustamente sacrificate all’esercizio del potere.
Così si trovano davanti due Sicilie opposte e differenti: una arcaica e feroce che crede solo nella sopraffazione e nella superiorità del piu forte. Chi non sa usare il delitto come arma di prevaricazione, è un servo e deve solo ubbidire. Chi tiene in mano il coltello e sa conficcarlo nel corpo del nemico, pensa di potere sottomettere e umiliare chi si muove disarmato. Il dominio comporta il disprezzo del dominato. Per assoggettare i cittadini, colpevoli solo di condurre una vita fuori dalle regole della mafia, i mafiosi di solito avvicinano il malcapitato e lo convincono con le minacce e il ricatto. Con i politici si comportano più prudentemente: cercano di corromperli promettendo protezione e voti, ma non dimenticano mai che si tratta di un nemico da distruggere anche se si tratta di un povero «sbirro», o di un povero prete da mortificare e sottomettere. Il ricatto, l’estorsione, le minacce, l’omicidio, tutto è lecito per ottenere quel potere osceno che si basa sull’appropriazione dei beni comuni , sul piacere del comando, sull’accumulo di ricchezze depredate.
Per fortuna la Sicilia che crede nell’onestà, nella democrazia , nella giustizia è piu numerosa – soprattutto da quando la legge dell’omertà è stata fortemente messa in discussione da una nuova presa di coscienza collettiva – di quella che crede nel mondo capovolto in cui il sangue versato porta onore e reverenza, in cui la prepotenza fa chinare le teste e suscita ammirazione e solidarietà. Il mondo è pieno di siciliani di grande valore che si sono allontanati dai regni perversi dei Riina di turno. Basterebbe che la nascente consapevolezza si estendesse e diventasse pensiero comune per trovare la forza di rompere quegli antichi e radicati legami che hanno tenuto in ostaggio per troppi anni una delle piu belle isole del mondo, difendendola così dai predoni, anche se questi sono padri o fratelli o madri e sorelle.
Corriere della Sera – Dacia Maraini – 19/11/2017 pg. 1 ed. Nazionale.