IL PUNTO
NELLA travagliata navigazione della commissione bicamerale sulle banche, la notizia non è tanto lo sforzo dei Cinque Stelle volto a coinvolgere Mario Draghi, per ovvie ragioni di interesse politico ed elettorale, quanto la ferma difesa che del presidente della Bce sta facendo Silvio Berlusconi. È una scelta non del tutto inaspettata, ma ugualmente significativa. Per diverse ragioni.
In primo luogo, l’ex presidente del Consiglio accantona di fatto la retorica intorno al cosiddetto “colpo di Stato” del 2011 che lo avrebbe spodestato da Palazzo Chigi. Non si può sostenere nello stesso tempo la tesi di un “golpe” orchestrato dal Quirinale e dai grandi poteri europei – fra cui logicamente c’è la Banca Centrale – e ribadire oggi che Draghi in quegli anni “ha salvato l’Italia”. Per quanto Berlusconi sia un prestigiatore con le parole, la contraddizione non lo consente. « E’ vero invece che la difesa di Draghi contro i Cinque Stelle, ma un po’ anche contro l’ambiguità e le incertezze del Pd renziano, rispecchia un cambio di strategia destinata a segnare i prossimi mesi a cavallo delle elezioni.
La centralità che il fondatore di Forza Italia si è riconquistato sulla scena politica esige una piena riconciliazione con l’Unione europea. Si dirà che questo slancio nasce dalla speranza che la Corte di Strasburgo lo reintegri e gli restituisca la possibilità di candidarsi fra quattro mesi. È vero, ma non si tratta solo di questo.
Certo, se ottenesse la riabilitazione, Berlusconi farebbe la campagna in prima persona come leader e voce rappresentativa dell’intero centrodestra, tentando di relegare Salvini in una posizione subordinata (almeno sul piano mediatico). Ma si può stare sicuri che si comporterebbe allo stesso modo se pure la sentenza non arrivasse in tempo; anzi, in quel caso avrebbe da giocare la carta del vittimismo. In un caso come nell’altro il Berlusconi del 2018 sarà diverso dal personaggio conosciuto nel ventennio trascorso. La linea pro-Draghi è un indizio preciso al riguardo, ma nel medesimo solco si colloca il rapporto ricostruito con Angela Merkel, leader dei Popolari europei, nonché lo spazio crescente concesso ad Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo e ponte verso un certo establishment politico dell’Unione. Tutto questo è funzionale alla necessità di bilanciare l’alleanza elettorale con la Lega di Salvini e anche con la destra di Giorgia Meloni. Fino a qualche tempo fa il cartello sembrava illogico, poi la nuova legge Rosato ha offerto una ghiotta opportunità al centrodestra unito di accaparrarsi quasi tutti i seggi uninominali del Nord. Di qui l’intesa obbligata fra Berlusconi e Salvini e l’avvio di una non semplice trattativa fra soci per spartirsi gli eletti al di sopra del Po.
In nome dell’alleanza, Salvini – sulla scia di Marine Le Pen in Francia – ha comunque annacquato le sue posizioni euroscettiche e ha smesso di predicare l’abbandono della moneta unica. Tuttavia non basta. Berlusconi ha capito che la partita della leadership è tutta da giocare e che Forza Italia può prendere più voti del concorrente Salvini solo se assume un profilo in grado di ricalcare lo schema europeista dei democristiani tedeschi o di Rajoy in Spagna. Più l’accordo con la Lega è obbligato, più occorre distinguersi perché ci si rivolge a elettorati diversi. Allo stesso modo Berlusconi dovrà proporre agli italiani una serie di candidature credibili agli occhi della sua platea moderata, quella che finora Renzi non è riuscito a sedurre. Il fatto che si parli di un ex comandante generale dei carabinieri (Gallitelli) e di varie personalità del mondo della cultura e dell’economia, dimostra che la stagione delle stravaganze sembra ormai superata. Almeno nelle intenzioni della vigilia. Altra cosa è la coerenza fra le dichiarazioni di stima verso Draghi e le promesse elettorali. Al momento sia Berlusconi sia gli altri protagonisti della scena elettorale, di qualsiasi colore, propongono misure di spesa destinate ad aumentare un debito pubblico già insostenibile. L’opposto esatto di quanto chiedono la Banca centrale e la Commissione. Un film già visto e non proprio un capolavoro.
In primo luogo, l’ex presidente del Consiglio accantona di fatto la retorica intorno al cosiddetto “colpo di Stato” del 2011 che lo avrebbe spodestato da Palazzo Chigi. Non si può sostenere nello stesso tempo la tesi di un “golpe” orchestrato dal Quirinale e dai grandi poteri europei – fra cui logicamente c’è la Banca Centrale – e ribadire oggi che Draghi in quegli anni “ha salvato l’Italia”. Per quanto Berlusconi sia un prestigiatore con le parole, la contraddizione non lo consente. « E’ vero invece che la difesa di Draghi contro i Cinque Stelle, ma un po’ anche contro l’ambiguità e le incertezze del Pd renziano, rispecchia un cambio di strategia destinata a segnare i prossimi mesi a cavallo delle elezioni.
La centralità che il fondatore di Forza Italia si è riconquistato sulla scena politica esige una piena riconciliazione con l’Unione europea. Si dirà che questo slancio nasce dalla speranza che la Corte di Strasburgo lo reintegri e gli restituisca la possibilità di candidarsi fra quattro mesi. È vero, ma non si tratta solo di questo.
Certo, se ottenesse la riabilitazione, Berlusconi farebbe la campagna in prima persona come leader e voce rappresentativa dell’intero centrodestra, tentando di relegare Salvini in una posizione subordinata (almeno sul piano mediatico). Ma si può stare sicuri che si comporterebbe allo stesso modo se pure la sentenza non arrivasse in tempo; anzi, in quel caso avrebbe da giocare la carta del vittimismo. In un caso come nell’altro il Berlusconi del 2018 sarà diverso dal personaggio conosciuto nel ventennio trascorso. La linea pro-Draghi è un indizio preciso al riguardo, ma nel medesimo solco si colloca il rapporto ricostruito con Angela Merkel, leader dei Popolari europei, nonché lo spazio crescente concesso ad Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo e ponte verso un certo establishment politico dell’Unione. Tutto questo è funzionale alla necessità di bilanciare l’alleanza elettorale con la Lega di Salvini e anche con la destra di Giorgia Meloni. Fino a qualche tempo fa il cartello sembrava illogico, poi la nuova legge Rosato ha offerto una ghiotta opportunità al centrodestra unito di accaparrarsi quasi tutti i seggi uninominali del Nord. Di qui l’intesa obbligata fra Berlusconi e Salvini e l’avvio di una non semplice trattativa fra soci per spartirsi gli eletti al di sopra del Po.
In nome dell’alleanza, Salvini – sulla scia di Marine Le Pen in Francia – ha comunque annacquato le sue posizioni euroscettiche e ha smesso di predicare l’abbandono della moneta unica. Tuttavia non basta. Berlusconi ha capito che la partita della leadership è tutta da giocare e che Forza Italia può prendere più voti del concorrente Salvini solo se assume un profilo in grado di ricalcare lo schema europeista dei democristiani tedeschi o di Rajoy in Spagna. Più l’accordo con la Lega è obbligato, più occorre distinguersi perché ci si rivolge a elettorati diversi. Allo stesso modo Berlusconi dovrà proporre agli italiani una serie di candidature credibili agli occhi della sua platea moderata, quella che finora Renzi non è riuscito a sedurre. Il fatto che si parli di un ex comandante generale dei carabinieri (Gallitelli) e di varie personalità del mondo della cultura e dell’economia, dimostra che la stagione delle stravaganze sembra ormai superata. Almeno nelle intenzioni della vigilia. Altra cosa è la coerenza fra le dichiarazioni di stima verso Draghi e le promesse elettorali. Al momento sia Berlusconi sia gli altri protagonisti della scena elettorale, di qualsiasi colore, propongono misure di spesa destinate ad aumentare un debito pubblico già insostenibile. L’opposto esatto di quanto chiedono la Banca centrale e la Commissione. Un film già visto e non proprio un capolavoro.
La Repubblica – STEFANO FOLLI – 16/11/2017 pg. 1 ed. Nazionale.