ROMA.
In un angolo remoto di Palazzo Madama, il senatore Dario Stefàno è l’immagine impietosa della sinistra più a sinistra del Pd: a pezzi. «Io sto con Campo progressista, mentre Mdp è sulle posizioni di Sinistra italiana perché non gliene frega un c… del progetto di Pisapia». Senato della Repubblica, mattina di divorzi e veleni. Muore una maggioranza, senza neanche il pathos delle grandi occasioni. I bersanian- dalemiani votano lo scostamento dei conti pubblici (servono 161 sì, ne arrivano addirittura 181 sì) e si sganciano sulla nota di aggiornamento al Def, anche se il testo passa comunque con 164 sì. L’unico a godere è Denis Verdini. «Se la sinistra si comporta da irresponsabile – ruggisce mentre si accarezza la criniera argentata – ci siamo noi». Tecnicamente non è stato decisivo, ma domani chissà.
Sulla carta, è il giorno in cui la sinistra rompe col governo. In pratica, Giuliano Pisapia strappa soprattutto da D’Alema, che la sera prima aveva strappato da lui: «Deve fare un passo di lato – scandisce l’ex sindaco a “Circo Massimo” su Radio Capital rispondendo a Massimo Giannini -. È divisivo, come Renzi». È l’ultimo schiaffo di una lite che sega alla radice il progetto unitario.
Non vanno d’accordo su nulla o quasi. Se Mdp esulta per lo scontro con Gentiloni, l’avvocato milanese sceglie l’angolatura opposta: «Era fondamentale che Mdp non votasse contro lo scostamento di bilancio. Ora inizia un percorso». Già segnato, sembra, perché Campo progressista non esclude di sostenere la manovra puntando sulla disponibilità del governo a rivedere i superticket della sanità, ma gli scissionisti ex Pd hanno già deciso: «Facciamo quello che ci chiedono i nostri elettori – giura Roberto Speranza mostrando il cellulare – guardate quanti messaggi che ci incoraggiano ad andare avanti!».
Per andare dove, si vedrà. Al Senato, intanto, una linea invisibile spacca lo spicchio sinistro in quattro o cinque campi da gioco. E non mancano le gomitate. Ultimamente i sedici senatori di Mdp vanno d’accordo con quelli di Sinistra italiana, in guerra permanente con Pisapia. «D’Alema è divisivo, divide la sinistra dalla destra – è il tweet al cianuro di Nichi Vendola – Per Giuliano è sufficiente dividere la sinistra… ». Seguire il filo è un’impresa, come il gioco del “chi sta con chi”. I due presunti pisapiani Stefàno e Uras, ad esempio, raccontano un film diverso da quello dei bersaniani: «Siamo in cinque, bisogna contare anche i tre senatori dell’Italia dei valori. Vogliamo un centrosinistra plurale. E pensiamo che senza il Pd non si possa costruire». «Macché – replica dall’Idv Maurizio Romani – stavamo con Campo progressista, ma adesso abbiamo scelto un’altra strada». Chi ci capisce è bravo. «Ma no, è facilissimo – fa la sintesi un antico dalemiano rimasto dem come Ugo Sposetti – la linea è soltanto una, quella di D’Alema. Solo che stavolta Massimo porterà tutti a sbattere».
Se il separatismo di sinistra scava trincee tra i progressisti, immaginare un patto ulivista che tenga tutti dentro sembra addirittura da visionari. Per i bersaniani conta soprattutto allontanarsi il più possibile da Renzi, spingendogli contro Verdini: «Ala ha sostenuto il governo – ricorda Miguel Gotor, nel cuore del Transatlantico – è la solita maggioranza fantasma che si muove al Senato da anni». Come d’incanto, si manifesta il berlusconiano ex verdiniano Domenico Auricchio. E punta proprio Gotor: «Tu non voti? Voto io al posto tuo, qua nessuno vuole andare a casa». In fondo, è la “teoria Gasparri”: «Il governo non cadrà mai – spiega l’ex An – Qua c’è gente che non vuole perdere un giorno di legislatura, perché sa che a Palazzo Madama ci tornerà solo in gita col Comune…».
Il separatismo scava trincee. Stefàno e Gotor agli antipodi. Sposetti: Massimo porta al disastro.