FULVIO PALOSCIA
L’ARTE contemporanea fa rete a Prato. Un network promosso dall’assessore alla cultura del Comune Simone Mangani, per dare forza alle realtà no profit. L’obiettivo è invitare i pratesi, i toscani, e magari anche il mondo, ad una lettura diversa di una città che pullula di migranti, di lavoro cinese più o meno legale e inquadrato, ma anche di studi d’artista, di realtà che fanno ricerca a cavallo tra arte e sociale. Dopo il numero zero dello scorso anno, il festival legato a PuntoCon-Contemporaneo Condiviso (questo il nome della rete) torna dal 1°ottobre al 12 novembre forte della vincita di un bando Siae di 40 mila euro. Ripropone il suo percorso di ex capannoni ed ex opifici dove oggi si produce non tessuti, ma cultura: un viaggio nell’altra Prato che dal centro si spinge nella zona industriale del Macrolotto. Lì l’attività di Dryphoto (esiste dal 1977) e Chi-na (che tesse fittissime trame tra arte e sociale) incrocia sguardi, rumori, umori della comunità cinese. «La prossimità tra vita e industria — spiega Vittoria Ciolini di Dryphoto — influisce sulla modalità di creazione più che sul prodotto artistico: abbiamo scelto di radicarci nel Macrolotto perché luogo vivo con i suoi conflitti, le sue contraddizioni». Piazza del Duomo, col meraviglioso pulpito di Donatello, è vicinissima «eppure qui l’atmosfera pone sfide, per questo ci piace». E fare arte in capannoni che ospitavano telai significa anche liberare Prato «dal pesantissimo fardello dell’opulenza industriale che la memoria conserva come un’età dell’oro — prosegue Ciolini — i pratesi che ancora coltivano il rimpianto non ricordano quanta fatica, dolore, mutilazioni (fisiche e mentali) fosse costata quella ricchezza. Credo che tutte le realtà coinvolte nel network preferiscano lavorare sul qui ed ora, sul quotidiano della Prato di oggi, sfruttando le potenzialità del presente».
Per Cosimo Balestri di Chi-na, è la «trasversalità anagrafica, sociale, culturale, dei contenuti e delle pratiche artistiche il nerbo di PuntoCon: in questo senso Chi-na indaga il rapporto tra noi artisti e gli spazi inutilizzati della città, interrogandosi sulle più opportune modalità di reintegrazione nel tessuto urbano. E ancora, la relazione tra cittadini e luoghi, ma anche tra le persone, tenendo sempre al centro il tema dello scambio. È un processo a più facce: culturale, sociale, ma anche economico e perché no, politico, e di pratiche quotidiane: per questo abbiamo identificato nel cibo uno dei momenti fondamentali non di integrazione, termine che non amiamo, ma di condivisione attraverso la convivialità».
L’arte, dunque, sta cambiando volto alla città, sta mutando l’assetto territoriale, urbanistico e sociale? In qualche modo sì se è vero che Prato assiste ad una vera e propria migrazione di artisti da Firenze. Come Raffaele Di Vaia, Franco Menicagli e Stefano Tondo il cui studio d’arte MDT ha sede in un ex laboratorio tessile: «L’abbondanza di spazi qui è tutt’altro che una leggenda — spiega Tondo — gli affitti sono modici: 700 euro per locali che a Firenze ruotano intorno ai 2000. Questo ha fatto sì che Prato divenisse la città dove se hai un progetto alla fine lo realizzi. L’idea di rigenerare la città attraverso l’arte è tutt’altro che peregrina: i laboratori in rete sono immersi nella vita quotidiana pratese esattamente come un tempo avveniva per l’attività tessile, in un mix tra creazione e problemi quotidiani più banali. Vedi, ad esempio, i parcheggi».